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Giustizia da morire. Voci umane dei bracci della morte degli Stati Uniti

Giustizia da morire. Voci umane dei bracci della morte degli Stati Uniti

Marco

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Vorrei che questo libro venisse letto da quante più persone possibile, donne e uomini di ogni età e condizione, ragazze e ragazzi soprattutto. È un libro bellissimo, generoso e commovente. Ci aiuta a capire che l'esecuzione capitale è un crimine peggiore dei delitti che vuol punire, perché non solo uccide ma insegna a uccidere. Ci aiuta a capire che fino a quando la pena di morte esisterà, anche in un solo angolo della terra, l'umanità non sarà uscita dalla barbarie". (Luigi Pintor)

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Qualcuno sta uccidendo gli autori che riempiono le pagine di questo volume. Gli autori in questione sono i prigionieri rinchiusi nei bracci della morte, mentre gli assassini sono i tribunali, le autorità statali e federali e i boia statunitensi.
Anche la popolazione degli Usa, in buona percentuale, è più o meno attivamente consenziente alle uccisioni legalizzate. Ma, nell'immaginario collettivo dei cittadini americani, i condannati a morte assumono cliché ben determinati: killer spietati, bruti perversi, mostri assetati di sangue e via dicendo. Tale faziosità, in gran parte indotta dalle autorità governative e dai mass-media, nel rappresentare i prigionieri in attesa d'esecuzione, determina una diffusa predisposizione a desiderarne la soppressione. È proprio sul lavoro metodico di disumanizzazione dei condannati a morte che si riesce a rendere accettabile, talvolta irrinunciabile, la pena capitale agli occhi della collettività. Ma se questi condannati venissero in qualche modo riumanizzati, se emergessero i loro sentimenti, le loro paure, le loro debolezze, allora, anche in caso di colpevolezza o responsabilità accertata del crimine di cui sono accusati, non ci sarebbe più la stessa vasta propensione popolare a volere la loro morte. Questo è uno dei motivi per cui le autorità politiche e carcerarie non prevedono alcun programma di riabilitazione in favore dei prigionieri, al contrario, cercano di abbrutirli quanto più possono per giustificarne l'eliminazione fisica e sociale.
Gli Stati Uniti d'America, questo grande paese che viene considerato e si autoconsidera paladino planetario del progresso e della civiltà, della cultura e dell'etica morale, delle libertà civili e dei diritti umani, sono anche l'ultimo paese occidentale a prevedere e ad attuare la pena di morte. Qui la vita umana viene ancora estirpata in nome della collettività e con la pretesa che tale assassinio, che resta sempre e comunque un assassinio, acquisti un valore e una sacralità che non gli spettano.
Con questo libro si ha l'intenzione, in special modo a partire dal capitolo "Voci umane", di andare oltre la pur nobile retorica e di mettere il lettore nella condizione di poter approfondire l'argomento attraverso le dirette testimonianze dei condannati alla pena capitale.
I contributi qui pubblicati, provenienti dai bracci della morte, sono prevalentemente frutto di corrispondenze epistolari. Nei rapporti umani che intercorrono tra i prigionieri in attesa d'esecuzione e le persone del mondo libero, si è stimolati a ragionare oltre i consueti termini di innocenza o colpevolezza, e si aprono porte inattese che lasciano intravedere i nostri stessi lati oscuri.
Ogni condannato a morte di questo volume, ognuno tra i tanti, meriterebbe un'intera pubblicazione; cosa che per alcuni è già avvenuta. Ma quello che si vuole evitare è proprio la personalizzazione eccessiva o l'accentramento di attenzione su un unico caso giudiziario. Prese una alla volta, queste persone dalle vite a perdere, non darebbero mai l'immagine di iniquità, immoralità e ingiustizia subìte che l'intero coro dei "senza voce" è in grado di dare. L'urlo silenzioso dei condannati in attesa d'esecuzione deve scuotere le sopite coscienze delle cosiddette società civili, e dev'essere motivo di profonda indignazione per ogni essere umano che voglia ancora sentirsi degno di chiamarsi tale. Non si riuscirà a intravedere un benché minimo barlume di equità e di giustizia fino a quando gli omicidi legali non verranno giudicati alla stregua di quelli illegali; oppure, più ragionevolmente, sin quando non si cancellerà la pena di morte in ogni luogo della Terra.
È duro ammetterlo, ma è possibile che durante il tempo trascorso tra lo scrivere, il pubblicare e il far leggere questo libro, alcuni degli autori saranno stati già privati della loro vita. Purtroppo, oggi, è ancora questa la realtà che si va consumando nella "civile" America. Una realtà spietata, dove i "figli di un dio minore" vengono soggiogati, brutalizzati, torturati, eliminati, nella feroce mattanza travestita da giustizia, ma che è, in verità, l'espressione più vergognosa della crudeltà umana: la pena di morte. Ma impartire una lezione di morte per insegnare a non uccidere è una contraddizione tanto evidente quanto inaccettabile. Sarebbe come pretendere di insegnare la non-violenza con la violenza.
Come può uno Stato considerare immorale e improponibile legalizzare e far propri reati come il furto o la truffa, e non esitare a legalizzare e far proprio, in modo freddo, spietato e premeditato, il peggiore dei reati: l'omicidio?

Marco Cinque

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