Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011
racconti
Racconti 1995 136 Racconti d'amore e di guerra, in cui l'ironia acquista un sapore d'amaro ma resiste tenacemente, insieme ad un grottesco che non è mai eccessivo, ma è piuttosto delicato, patetico, proprio di quei montevideanos, un po' sprovveduti e tenacemente nostalgici, lanciati sulle strade dell'esilio. 23 racconti di uno dei più grandi autori latinoamericani del secondo Novecento. 88 – 86203 – 09 – 8 Altre Americhe Rosa Maria Grillo E. Falivene, M. C. Mitidieri, A. Sara Il nome di Benedetti è ben noto al pubblico italiano, tanto tra gli studiosi che tra i critici militanti e i lettori attenti, come esempio coerente di un impegno intellettuale e politico (o meglio, civile) quarantennale, ma anche di difesa dell'autonomia di tale impegno, scevro di ogni servilismo e ossequio alle scelte dominanti. Spesso coinvolto in polemiche aspre sì, ma sempre a un livello altissimo di dignità e coerenza - con Mario Vargas Llosa, Octavio Paz, Angel Valente - di cui abbiamo testimonianza nei volumi che raccolgono i suoi interventi giornalistici, Benedetti ha sempre difeso, con dignità e coraggio, la condizione dei sudacas esiliati, dei tercermundistas, delle minoranze e di quanti, anche se apparentemente integrati, sono in realtà tenuti ai margini delle cupole della intelligentia occidentale e nordista.
Stranamente, invece, non altrettanta fortuna ha avuto in Italia come scrittore creativo: e dico stranamente non perché le due espressioni debbano assolutamente combaciare e complementarsi allo stesso livello qualitativo, ma perché effettivamente Benedetti è uno scrittore di rango, come tale riconosciuto internazionalmente (lo dimostrano le molteplici edizioni e traduzioni delle sue opere) ma rimasto fuori dal boom, a suo tempo, sia per ragioni editoriali (il boom della narrativa latinoamericana degli anni '70 fu fenomeno e creazione europea, mentre Benedetti in quegli anni risiedeva spesso a Cuba, cioè più che mai dall'altro lato del mondo) che artistiche (si privilegiò la corrente del realismo magico e del fantastico rioplatense). La scrittura realista di Benedetti, invece, in quanto specchio critico di una realtà in cui convivono apparenze e aspirazioni europeiste e contraddizioni e sofferenze sudamericane, senza quella 'aura magica' presente in tanta narrativa e cultura afro-indigena del resto del continente, non poteva attirare noi occidentali stanchi di città, di routine, di apatie, di uomini e donne senza qualità e senza mistero. Rispetto agli 'esotici' - i cui nomi sono troppo noti per doverli fare - che tanta fortuna hanno avuto presso il vorace lettore europeo, Benedetti ci rimanda un mondo apparentemente troppo simile al nostro, e non è facile andare oltre le apparenze del suo narrato per scorgervi le cifre specifiche di una latinoamericanità soffusa, di una sottile ironia, di un narrare che mostra le voragini distruttive che si aprono tra la necessità di apparire e la volontà di essere, tra la banalità del quotidiano e la tragedia del singolo, tra l'umanità del torturatore e il tradimento dell'amico. Solo più tardi, nei tempi lunghi, stanchi dei moduli narrativi e stilistici del magico latinoamericano, intellettuali ed editori europei hanno rivalutato Mario Benedetti: in Spagna e Francia è ora tra gli scrittori latinoamericani più letti. Non ancora in Italia.
Proporre pertanto una antologia dei suoi racconti può apparire una sfida, ma lo abbiamo fatto perché convinti sia della sempre alta temperatura di questi testi sia della risvegliata attenzione di lettori e critici italiani verso il racconto breve, per decenni quasi ignorato o considerato genere secondario e ora finalmente riconosciuto come espressione fra le più adeguate al vivere moderno, alla frammentarietà dell'esperienza e alla disintegrazione dell'identità. Già Lukacs molti anni fa aveva colto la peculiarità di questa forma narrativa che, "legata alla estensione immanente della rappresentazione", può prescindere da contesti ampi e articolati, da problematiche e coordinate, per estrapolare e narrare un hinc et nunc unico, irripetibile e, se si vuole, perfino astorico. Ciò spiegherebbe anche la fortuna - di scrittura e di lettura - che il racconto ha avuto e ha in America Latina, terra di sconvolgimenti rapidi e convulsi, di stratificazioni non assimilate, di esperienze e concetti di estrazione europea, in cui convivono millenarie culture magiche e 'naturali' ed esasperate manifestazioni dell''american way of life'. Inoltre, il Río de la Plata costituisce certamente una regione di alta e antica tradizione cuentista: dal modernista Leopoldo Lugones al nativista Horacio Quiroga, che inaugurarono le correnti del fantastico e del realismo, inevitabili punti di riferimento per Borges e Cortázar, Benedetti, Onetti, Bioy Casares...
Mario Benedetti, nato a Paso de los Toros (Uruguay) nel 1920, narratore, poeta, drammaturgo, giornalista e saggista, è, come Julio Cortázar, García Márquez, Eduardo Galeano, Ernesto Cardenal, uno dei grandi intellettuali latinoamericani segnati dalla necessità di coniugare impegno civile e attività artistica, di inventare una lingua, un modo di essere, una letteratura, una identità per un continente in continuo fermento, stretto tra il sottosviluppo endemico e le pressioni economico-sociali del mondo occidentale, tra la necessità di una letteratura engagé e l'aspirazione alla libera espressione della diversità e del sincretismo latinoamericani.
L'impegno politico di Benedetti, cresciuto all'ombra della rivoluzione cubana - ha vissuto a Cuba sul finire degli anni '60 - si è concretizzato a livello continentale nella denuncia della ingerenza yankee - economica e politica, quando non militare - nell'aspirazione all'autodeterminazione, svincolata dai modelli egemoni degli anni '70 e '80 - capitalismo nordamericano e comunismo sovietico - nella ricerca di una via latinoamericana al comunismo. In Uruguay, ha partecipato alla fondazione del Frente Amplio, lo schieramento di forze che riuniva le tendenze più progressiste del paese sia di estrazione cattolica che di formazione laica e marxista. Il golpe militare del '73 - fatto isolato nella storia recente uruguayana, sviluppatasi sul modello delle democrazie parlamentari occidentali e non del caudillismo latinoamericano - troncò tragicamente quel tentativo di coalizione teso a scardinare la struttura profonda dell'Uruguay, arcaica e oligarchica dietro le apparenze di una moderna democrazia. L'andata al potere delle forze più reazionarie causò un esodo massiccio. Anche Benedetti prese la via dell'esilio prima in Argentina, poi in Cile e Spagna, dal 1973 al 1985. Attualmemte vive parte dell'anno a Madrid e parte a Montevideo.
Nelle sue opere quest'impegno civile e politico è ben presente ma, lungi dallo scadere nel pamphlet (alcuni suoi testi creativi che denunciano l'intento propagandistico sin dal titolo, come Letras de emergencia, 1973, non sono entrati nelle raccolte successive, in verso - Inventario - e in prosa - Cuentos completos), fornisce terreno fertile per una continua ricerca formale e linguistica atta a rappresentare la cangiante realtà della sua America e delle sue esperienze senza mai rinunciare alla dignità artistica, alla sperimentazione, alla ricerca del miglior rapporto forma-contenuto: ne fanno fede il romanzo in versi El cumpleaños de Juan Angel (1971), sull'evoluzione di un giovane montevideano da tranquillo impiegato di banca a guerrigliero tupamaro, straordinaria opera sperimentale non solo per l'infrazione alla tradizionale opposizione prosa/poesia ma anche per il modernissimo trattamento del tempo narrativo, compresso e soggettivizzato; il romanzo polifonico Primavera con una esquina rota (1982) in cui prendono la parola diversi personaggi accomunati dalla stessa esperienza dell'esilio; Despistes y franquezas (1990), libro-contenitore, quasi un homenaje al lettore, in cui Benedetti offre una summa della sua creatività, libera da condizionamenti ed esigenze editoriali.
Come ha recentemente scritto José Emilio Pacheco nel Prólogo all'edizione dei Cuentos Completos, Benedetti "ha superato tutti gli ostacoli, ha realizzato la totalità dell'esercizio letterario che avevano praticato i grandi scrittori dei secoli scorsi e ha creato un pubblico che lo segue dappertutto, di libro in libro e anche sui periodici, sulla scena, sui dischi".
La presente antologia, come tutte le operazioni arbitrarie, rispecchia criteri personali che è necessario esplicitare. Se la più immediata e scontata motivazione nasce sempre dal gusto soggettivo, un più distanziato criterio di scelta ci ha spinto a includere anche quei racconti che meglio diano ragione della varietà di stile, di temi, di tono, della grande duttilità e flessibilità non solo dell'autore ma anche del genere racconto.
Attraverso i testi selezionati è così possibile seguire la storia e l'evoluzione dell'intellettuale e dello scrittore che ha rappresentato, raccontato e analizzato, con tenerezza, ironia, rabbia, nostalgia o volontà di denuncia, l'Uruguay degli ultimi cinquant'anni, passato da una democrazia senz'altro imperfetta, ma che assicurava tranquillità e un certo benessere, a uno stato prima di incertezza e crisi economica ed etica, poi di guerra civile e di dittatura, colpito infine dalla depauperizzazione dell'esilio e dal difficile desexilio (suo è il neologismo).
Allo sperimentalismo della prima raccolta, Esta mañana (1949), dove Benedetti dimostrava grande perizia tecnica ma ancora un'immatura interiorizzazione ed elaborazione personale, e su cui incombeva il magistero joyciano, ma come forzato per adattarsi alla realtà uruguayana, segue la grande, sommessa epopea urbana di Montevideanos in cui prende corpo e vive autonomamente quella città, quel popolo descritto amaramente e lucidamente nel contemporaneo El país con la cola de paja (1960) in cui viene invocata quella "revolución de las conciencias" che forse avrebbe salvato l'Uruguay dal baratro insondabile del 'decenio negro' (1973-1983). 'Realismo critico urbano' è l'etichetta comunemente utilizzata per questa raccolta e per la produzione intera di Benedetti - e della 'generación crítica' o 'del '45' di cui fa parte - etichetta che non rende conto dell'ironia, della sottigliezza, dell'estrema puntualità stilistica e del significato metaforico che acquista il mondo della pubblica amministrazione e della burocrazia, mondo kafkiano puntigliosamente radicato nel quotidiano, in cui l'assurdo è una categoria insita nel reale, non una sua deformazione.
Il grande salto verso lo scardinamento del principio di verosimiglianza lo tenta Benedetti con La muerte y otras sorpresas per raccontare di un Uruguay sprofondato in una crisi economica ed etica senza precedenti: con improvvise incursioni nel fantastico esprime tutto il disorientamento e l'angoscia di chi si vede privato delle antiche certezze, e che, incredulo come il lettore davanti ad avvenimenti inverosimili, assiste ai primi casi di violenza urbana, di torture, di intercettazioni telefoniche, di odi profondi e implacabili che si ammantano di disputa ideologica (eccellente e rappresentativo di questa tendenza e di questa raccolta è Ganas de embromar - Voglia di scherzare - non presente qui perchè già tradotto in italiano).
Questo nuovo modo di convivenza, che in La muerte y otras sorpresas era appena accennato e costituiva un elemento da rimuovere come un corpo estraneo, non ancora assimilato, nella successive raccolte, Con y sin nostalgia e Geografías, scritte e pubblicate in esilio, si impone decisamente, ma ormai come una realtà accettata, 'normale', e come tale narrabile: racconti di guerriglia e di resistenza, o dall'esilio e sull'esilio, in cui il fatto contingente - il des-tierro - e l'esilio esistenziale dell'uomo moderno sembrano combattersi e annullarsi vicendevolmente, in una nuova dimensione di solidarietà e di impegno. Racconti d'amore e di guerra, in cui l'ironia acquista un sapore d'amaro ma resiste tenacemente, insieme a un grottesco mai eccessivo, delicato, patetico piuttosto, proprio di quei montevideanos, un po' sprovveduti e tenacemente nostalgici, lanciati sulle strade dell'esilio e di quella cultura occidentale in cui l'Uruguay pacifico delle decadi precedenti aveva cercato ispirazione e modelli. In queste due raccolte Benedetti dà la parola "agli uni e agli altri", agli 'insiliati' e agli esiliati, dando a entrambi pari dignità di dolore e di lotta, perchè "tutti siamo stati amputati: loro della libertà, noi del contesto" (da Articulario. Desexilio y perplejidades, 1994).
L'ultima raccolta, Despistes y franquezas, inclusa solo parzialmente nei Cuentos completos (non vi sono i componimenti poetici), è un compendio delle diverse modalità fin qui espresse. Come lo definisce Benedetti nell'introduzione al volume del '90, è un "entrevero", un intreccio barocco di temi e forme, un luogo di libertà e una immagine di sé: "Questo libro è un intreccio che, è giusto dirlo, io avrei desiderato particolarmente allegro, qualcosa come un brindisi privato tra autore e lettore, in commemorazione dei nostri 45 anni di mondo condiviso, ma è evidente che di questi tempi è quasi impossibile schivare totalmente il dolore. Malgrado ciò, spero che, qui e lì, siano sopravvissuti la volontà e la vocazione al gioco". Queste stesse parole vorrei che idealmente comparissero come epigrafe di questa antologia che, anche se storicamente rispecchia un quarantennio di lotte e di dolore, aspira a evidenziare, nell''entrevero' dell'intero corpus benedettiano, uno spiraglio di humor e di ottimismo.
Pur con gli inevitabili mutamenti che la vita comporta, Benedetti è sempre rimasto caparbiamente fedele a se stesso e alla sua etica, lui non impassibile testimone e narratore di quasi mezzo secolo di storia degli uomini del suo paese.
Pur basandoci sull'ultima edizione dei Cuentos completos (1994), che ha rispettato l'originaria collocazione dei racconti, ci siamo permessi la libertà di includere anche i componimenti poetici che, nel volume Geografías, accompagnano i racconti configurando una unità superiore, una sezione poetico/narrativa complessa. Quando è stato possibile, abbiamo indicato anche la data di composizione, per evidenziare la maggiore o minore compattezza, anche cronologica, dei singoli volumi (l'unico scarto rilevante è il racconto L'espressione, datato 1950, quindi contemporaneo dei testi di Montevideanos, ma coerentemente incluso in La muerte y otras sorpresas perchè di fatto appartenente a quel mondo dell'assurdo e del grottesco). In questo modo si è voluto dare al lettore una visione d'insieme della scrittura di Benedetti, e nello stesso tempo fornirgli gli strumenti per una interpretazione critica delle diverse tappe che hanno segnato il suo percorso di scrittore e di intellettuale.
Rosa Maria Grillo
1995
L'ESPRESSIONE

Milton Estomba era stato un bambino prodigio. A soli sette anni eseguiva la Sonata Num. 3, Op. 5, di Brahms, e ad undici il consenso unanime della critica e del pubblico accompagnò la sua serie di concerti nelle principali capitali d'America e d'Europa.
Tuttavia, quando compì vent'anni, si poté notare nel giovane pianista una evidente trasformazione. Aveva cominciato a preoccuparsi eccessivamente di curare una gestualità ampollosa, un modo affettato di atteggiare il volto, di corrugare la fronte, gli occhi in estasi, e qualche altro effetto simile. Egli chiamava tutto ciò "la sua espressione".
Un po' alla volta, Estomba si andò specializzando in "espressioni". Ne aveva una per suonare la Patetica, un'altra per Bambine nel Giardino, un'altra per la Polacca. Prima di ogni concerto provava davanti allo specchio, ma il pubblico entusiasticamente appassionato prendeva queste espressioni come spontanee e le accoglieva con applausi fragorosi, acclamandolo e accalorandosi.
Il primo sintomo inquietante apparve un sabato durante un'esibizione. Il pubblico avvertì che stava succedendo qualcosa di strano, e dall'applauso trapelò un velato, iniziale stupore. Il fatto era che Estomba aveva suonato la Cattedrale Sommersa con l'espressione della Marcia Turca.
Ma la catastrofe sopraggiunse sei mesi più tardi e fu riconosciuta dai medici come amnesia lacunare. La lacuna in questione riguardava le partiture. In un lasso di tempo di ventiquattro ore, Milton Estomba dimenticò per sempre tutti i notturni, i preludi e le sonate che avevano fatto parte del suo ampio repertorio.
La cosa sorprendente, quella veramente sorprendente, fu che non avesse dimenticato nessuno dei gesti ampollosi ed affettati che accompagnavano ogni sua interpretazione. Mai più ha potuto dare un concerto per piano, ma rimane qualcosa che può consolarlo. Ancora oggi, il sabato sera, gli amici più fedeli vanno a casa sua per assistere ad una muta esibizione delle sue "espressioni". Tra loro è opinione unanime che il suo capolavoro è l'Appassionata.

(1950)
Benedetti Mario
Figlio di Brenno Benedetti e Matilde Farugia, i quali lo battezzarono con cinque nomi, conformemente alle usanze italiane, fino a due anni di età abitò con la famiglia a Paso del los Toros; successivamente, per ragioni di lavoro, la famiglia si trasferì a Tacuarembó. Dopo una permanenza fallimentare a Tacuarembó (dove furono vittima di una truffa), la famiglia si trasferì a Montevideo; Mario Benedetti aveva quattro anni d'età.
Nel 1928 iniziò i suoi studi primari nel Collegio Tedesco di Montevideo, dove completò il corso di studi nel 1933. Iniziò quindi a frequentare il Liceo Mirandaper. Nel 1934 entrò nella Escuela Raumsólica de Logosofía. Nel 1935 realizzò i suoi studi secondari in maniera incompleta, completandoli poi da privatista a causa dei problemi economici della sua famiglia.
All'età di quattordici anni cominciò a lavorare nella impresa di Will L. Smith, che realizzava ricambi per automobili. Tra il 1938 e il 1941 risiedette quasi continuamente a Buenos Aires, Argentina.
Nel 1945 entrò a far parte della redazione del settimanale Marcha, dove rimase fino al 1974 (anno nel quale il giornale fu chiuso dal governo di Juan Maria Bordaberry). Nel 1954 venne nominato direttore letterario del Marcha. Il 23 marzo 1946 si sposò con Luz López Alegre, il suo grande amore e compagna di vita. Nel 1948 diresse la rivista letteraria Marginalia e pubblicò il volume di saggi Peripezia e Romanzo (Peripecia y novela).
Nel 1949 divenne membro del consiglio di redazione del Número, una delle riviste letterarie più importanti dell'epoca. Partecipò attivamente al movimento contro il trattato militare con gli Stati Uniti d'America. Fu questa la sua prima azione come militante politico. Nello stesso anno ottenne il Premio del Ministero della Istruzione Pubblica per la sua prima raccolta di racconti, Questa Mattina (Esta mañana). Ne fu il vincitore in ripetute occasioni fino al 1958, da quando lo rifiutò ripetutamente per controversie sul regolamento.
Nel 1964 lavorò come critico teatrale e codirettore della pagina letteraria settimanale Al servizio delle lettere del quotidiano La mañana.
Collaborò come umorista nella rivista Peloduro. Scrisse inoltre critiche cinematografiche su La tribuna popular.
Tornò a Cuba per partecipare come giurato del concorso Casa de las America. Partecipò all'incontro con Rubén Darío. Andò in Messico per partecipare al II Congresso Latinoamericano degli Scrittori; partecipò inoltre al Congresso Culturale della Havana con la relazione Sulla relazione tra l'uomo d'azione e l'intellettuale e diventò Membro del Consiglio di Direzione della Casa delle Americhe.
Nel 1968 fondò e diresse il Centro di Investigazione letteraria della Casa delle Americhe. Insieme ai membri del Movimento di Liberazione Nazionale – Tupamaros fondò, nel 1971, il Movimento delle Indipendenze 26 Marzo, un raggruppamento che passò a formare la coalizione delle sinistre Frente Amplio. Benedetti fu dirigente del movimento. È nominato direttore del Dipartimento di Letteratura Ispanoamericana nella Facoltà di nella Facoltà di Umanistiche e Scienza dell'Università della Repubblica. Pubblica Cronoca del 71 (Crónica del 71), composto per lo più da una raccolta di editoriali politici pubblicati nel settimanale Marcha, una poesia inedita e tre discorsi letti durante la campagna del Frente Amplio. Pubblica anche I poemi comunicanti (Los poemas comunicantes), con interviste a vari poeti latinoamericani. Nel 1973, dopo il colpo di stato militare a causa del suo attivo favoreggiamento per la sovversione marxista, deve abbandonare l'Uruguay, lascia il suo incarico all'Università e parte per l'esilio a Buenos Aires. Viaggia per l'Argentina, il Perù, la Spagna. Furono dieci lunghi anni che lo videro lontano dalla sua patria e da sua moglie, la quale dovette rimanere in Uruguay per accudire alla madre ed alla suocera. La versione cinematografica di La Tregua, diretta da Sergio Renán, ricevette, nel 1974, la nomination alla quarantasettesima manifestazione del premio Oscar, per il miglior film straniero. Nel 1976 torna a Cuba, questa volta come esiliato, e si unisce nuovamente al Consiglio di Direzione della Casa delle Americhe. Nel 1980 si trasferisce a Palma de Maiorca. Due anni più tardi inizia la sua collaborazione settimanale nelle pagine dell'Opinion il quotidiano El País. Nello stesso anno il Consiglio di Stato di Cuba gli concede onorificenza Orden Félix Varela. Nel 1983 si trasferisce a Madrid. Torna in Uruguau nel marzo del 1983 iniziando l'autonominato periodo desexilio, ragione di molte sue opere. È nominato Membro del Consiglio Editori della nuova rivista Brecha, che è una prosecuzione del progetto della rivista Marcha interrotto nel 1974. Nel 1986 riceve il premio Jristo Botev de Bulgaria, per la sua opera di di poeta e saggista. Nel 1987 premiato a Bruxelles con il Premio Llama de Oro de Amnistía Internacional per il romanzo Primavera con un angolo rotto. Nel 1989 è decorato con la Medalla Haydeé Santamaría dal Consiglio di Stato di Cuba. Nel 1997 è investito del titolo di Dottore Honoris Causa dall'Università di Alicante. Il 31 maggio del 1999 premiato con VIII Premio Reina Sofía de Poesía Iberoamericana. Il 29 marzo del 2001 la fondazione Iberoamericana José Martí Premio Iberoamericano José Martí. Il 19 novembre del 2002 fu nominato cittadino onorario di Montevideo. Nel 2004 gli venne dato il Premio Etnosur. Nel 2004 venne presentato per la prima volta a Roma, un documentario sulla vita e la poesia di Mario Benedetti intitolato "Mario Benedetti e altre sorprese". Il fu scritto e diretto da Alessandra Mosca, fu patrocinato dalla Ambasciata dell'Uruguay inItalia. Il documentario partecipò al Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano de La Habana al XIX Festival del Cinema Latinoamericano di Trieste e al Festival Internacional de Cine de Santo Domingo. Nel 2005, Mario Benedetti il libro di poesie Addii e Benvenuti (Adioses y bienvenidas). Nell'occasione venne presentato anche il documentario Parole Vere (Palabras verdaderas), al quale partecipò in prima persona. Il 7 giugno del 2005 si aggiudicò il XIX Premio International Menéndez Pelayo, e la Madaglia d'Onore dell'Università Internazionale Menéndez Pelayo. Il premio, concesso dall'Università Internazionale Menéndez Pelayo, è un riconoscimento all'opera di persone di spicco che si sono distinte nella attività letteraria e scientifica, tanto in lingua spagnola come in portoghese. Mario Benedetti ripartiva il suo tempo nelle sue case in Uruguay ed in Spagna occupandosi dei suoi numerosi impegni. Dopo la morte di sua moglie Luz López, il 13 aprile 2006, a causa dell'Alzheimer, Benedetti si è definitivamente trasferito nel quartiere Centro di Montevideo, Uruguay. A causa del suo trasferimento, Benedetti ha donato parte della sua biblioteca personale di Madrid, al Centro de Estudios Iberoamericanos Mario Benedetti dell'Universidad de Alicante.

Mario Benedetti si è spento a Montevideo il 17 maggio del 2009.
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