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04/04/2011

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Antonella Anedda Italia italiano Antonella Anedda (Anedda-Angioy), è nata a Roma da una famiglia sardo-corsa. Si è laureata in storia dell’arte studiando tra Roma e Venezia Ha insegnato presso l’Università di Siena. Attualmente vive tra la Sardegna e Roma dove lavora part-time a scuola.
Ecco le sillogi poetiche che ha dato alle stampe: «Residenze invernali» (Crocetti Editore, Milano, 1992), «Notti di pace occidentale» (Donzelli editore, Roma, 1999) – che si è aggiudicata nel 2000 il “Premio Montale” – e «Il catalogo della gioia» (Donzelli editore, Roma, 2003), "La vita dei dettagli. Scomporre quadri, immaginare mondi" (Donzelli Editore, Roma 2009) e "Salva con nome" (Mondadori Editore, Milano 2012).
Il resto della sua produzione è costituito non solo dal volume di traduzioni e variazioni «Nomi distanti» (Edizioni Empirìa, Roma, 1998), ma anche da tre raccolte di saggi o prose liriche: «Cosa sono gli anni» (Fazi Editore, Roma, 1997), «La luce delle cose. Immagini e parole nella notte» (Feltrinelli, Milano, 2000). «Tre stazioni» (LietoColle, Faloppio, 2003). "Dal balcone del corpo" (Mondadori, 2007), "La vita dei dettagli. Scomporre quadri, immaginare mondi"(Donzelli Editore, Roma 2009), "Salva con nome" (Mondadori Editore, Milano 2012)
Ha collaborato alle riviste «Poesia» (Crocetti Editore) e «Nuovi Argomenti» (Mondadori).
La sua prima raccolta di poesie, Residenze invernali (Crocetti, 1992) l’ha subito imposta come una delle presenze più importanti della nuova poesia italiana. “Il richiamo alla posizione di Celan, alla sua idea di respiro, e alla sua scrittura intesa come colloquio con i sommersi” è stato individuato come un elemento centrale di questa poesia che si impone per la sua essenzialità e la sua precisione.
Antonella Anedda è stata ospite di Casa della poesia nel maggio 2007.
Opere:

Residenze invernali (Crocetti Editore, Milano 1992)
Cosa sono gli anni (Fazi Editore, Roma 1997)
Nomi distanti (Edizioni Empirìa, Roma 1998)
Notti di pace occidentale (Donzelli Editore, Roma 1999)
La luce delle cose. Immagini e parole nella notte (Feltrinelli, Milano 2000)
La lingua disadorna (L’Obliquo, Brescia 2001)
Il catalogo della gioia (Donzelli Editore, Roma 2003)
Come solitudine (Donzelli Editore, Roma 2003)
Tre stazioni (Lieto Colle, Faloppio 2003)
Dal balcone del corpo (Mondadori Editore, Milano 2007)
La vita dei dettagli. Scomporre quadri, immaginare mondi (Donzelli Editore, Roma 2009)
Salva con nome (Mondadori Editore, Milano 2012)

Riconoscimenti:

Nel 1992 ha vinto tre premi: il “Premio Leonardo Sinisgalli” Opera prima, il “Premio Diego Valeri” ed il “Tratti Poetry Prize” tutti per il libro "Residenze invernali".
Nel 2000 il “Premio Eugenio Montale” per "Notti di pace occidentale".
Finalista due volte al “Premio Viareggio-Repaci” nel 2003 con "Il catalogo della gioia" e nel 2007 per "Dal balcone del corpo".
Nel 2007 ha vinto sia il “Premio Napoli Libro dell’Anno“ che il “Premio Stephen Dedalus” entrambi per "Dal balcone del corpo".
Nel 2008 ha ricevuto il “Premio Dessì” sempre per "Dal balcone del corpo".
Ancora nel 2008 il “Premio Letterario Casentino” sezione Premio d’Onore per la poesia.
Nel 2012 ha vinto tre premi per la silloge poetica "Salva con nome" e cioè il “Premio Frascati”[9], il “Premio Viareggio-Repaci” ed il “Premio Alghero Donna”.
Nel 2013 ha ricevuto il Premio Letterario “Antonio Guerriero” Civetta di Minerva per l’Opera Poetica ed il “Trieste Scritture di frontiera” per "Dal balcone del corpo".
ANEDDA, PAROLE COME GRUMI E PENNELLATE


Non ha abbandonato, o quasi, una stretta collaborazione tra poesia e prosa, neppure in quest’ultima prova. Come arriva a questo rapporto tra due passi antitetici, almeno apparentemente, della scrittura?
Credo che abbiano agito gli studi di storia dell’arte. Penso che proprio visivamente a volte è come se la scrittura dovesse raggrumarsi e altre volte invece come se gocciasse. C’è un rapporto molto concreto, come se la vedessi. Un aspetto visuale e anche tattile, di un tattile tutto interiore naturalmente, perché effettivamente ha a che fare con questo raggrumarsi e sciogliersi.
Il titolo ha suscitato qualche riserva in alcuni critici, eppure indica senza mediazioni la prospettiva, l’angolo dal quale leggere il mondo e l’uomo attraverso questi versi?
Esemplifico ricordando i versi eponimi della raccolta: “la percezione del dolore trasportata all’esterno,/ vista dal balcone del corpo”.
Questo titolo è stato scelto con Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi dopo molto discutere e ne sono assolutamente convinta perché effettivamente il nostro corpo è come un balcone, mette in condizioni di sporgersi verso qualcos’altro e il corpo può essere davvero paragonato ad un balcone: appartiene alla casa ma non è la casa, è nello spazio ma non è lo spazio, vi è sospeso. Uno dei tentativi di questo libro è anche interrogarmi sul rapporto del corpo con lo spazio, con ciò che non vi appartiene totalmente ma che col corpo interagisce.
Colpisce la sezione Limba, in “un linguaggio che non è dialetto”, in logodurese. Come son nate queste poesie che si isolano nella raccolta e nella sua produzione più in generale?
La poesia Limba è nata casualmente. Lodoli mi aveva chiesto una poesia per Roma in tempi brevi e non riuscivo a scriverla, ma nei tentativi esperiti abbastanza sorprendentemente è venuta fuori: non era una lingua che padroneggiavo, ma l’avevo ascoltato da bambina. In un secondo momento, quando quasi mi sembrava di non avere una lingua per dire un dolore, sono nate per la stessa sezione gli Attittos, il lamento funebre delle donne in Sardegna e rivolto alla persona uccisa. L’etimologia di questa parola è abbastanza incerta: per alcuni viene da attizzare verso la vendetta, preferisco però l’etimologia che significa allattare e poi c’è una terza etimologia che indicherebbe il singhiozzo, attittos come singhiozzo, quasi una onomatopea. C’è del latino, con incursioni catalane, in questa lingua logudorese.
Ha lavorato tanto nelle traduzioni, e quanto Limba ne risente?
Mi interessa questo andare avanti e indietro fra le lingue, sono una grande lettrice di vocabolari e dizionari perché lì c’è sempre una sorpresa, un movimento o uno scorrere tra le lingue. È stato cercare come delle risposte a questa lingua estranea, come se questa lettura chiedesse una risposta, e in alcuni casi sono nate delle poesie autonome o traduzioni. In “Limba” a volte i testi nascevano in italiano e poi li traducevo e viceversa, ma è stata un’esperienza confortante perché è stato come se una lingua ammaestrasse l’altra, soprattutto per sottrazione. Capivo ogni volta che ritraducevo cosa togliere, cosa non era necessario.
"Residenze invernali" è la raccolta d’esordio del 1992. Nasce, almeno in parte, da un’esperienza certo dolorosa e personale. Come intende il rapporto tra biografia e poesia?
Prima di tutto la poesia ci scaccia, quando la poesia è finita noi non ci siamo più. E questo è un dato. Quindi non è mai biografica o non è solo biografica: c’è continuamente, o almeno a me succede questo, la vita altrui che entra, la memoria di racconti di altre persone. Anche qui c’è qualcosa che si spalanca, non c’è mai un io univoco. Nel momento stesso in cui c’è la mia subito mi si affollano altre voci ed esperienze. Così in "Residenze invernali "questa malattia famigliare mi ha anche reso più acuto lo sguardo verso altre esperienze e questo è un dono della poesia. E come prendere le biografie di tutti quelli che ti circondano.
"Notti di pace occidentale"?
Un titolo ironico. Gran parte delle poesie son nate durante la guerra del Golfo e in quella della ex-Jugoslavia poiché ho avuto la netta percezione di un idea di pace in cui l’occidente si era cullato e un tempo diverso. Mi è stato chiaro che da quel momento in avanti fosse più giusto parlare di tregua. Mi sembrava che l’Occidente usasse la parola pace ma che in realtà stesse vivendo una tregua anche abbastanza atterrita. La guerra nell’ex Jugoslavia era molto vicina, alle porte. Molte poesie sono nate da questa riflessione, non volevo scrivere un libro “impegnato”, volevo riflettere su una cosa che la guerra azzera, cioè il dettaglio.

Francesco Napoli


Interviste realizzate, a Casa della poesia, in occasione della rassegna “Poesia italiana contemporanea”.