Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011

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Ferruccio Brugnaro Italia italiano Ferruccio Brugnaro, operaio a Porto Marghera dagli inizi degli anni Cinquanta, è nato nel 1936 a Mestre, è autodidatta e vive a Spinea (VE). Ha fatto parte per molti anni del Consiglio di Fabbrica Montefibre-Montedison, ed è stato per decenni uno dei protagonisti delle lotte del movimento operaio. Con il 1965, Brugnaro comincia a distribuire nei quartieri, nelle scuole, fra i lavoratori in lotta, i suoi primi ciclostilati di poesia, racconti, pensieri. È uno dei primi in Italia a diffondere la poesia in forma di volantino. Tra i murales di Orgosolo si possono leggere sue poesie scritte ancora negli anni Settanta. I suoi lavori sono apparsi su molte riviste. Parte degli scritti, tirati al ciclostile e diffusi come volantini, sono stati raccolti dall'Editore Bertani e pubblicati nei volumi: "Vogliamo cacciarci sotto", 1975; "Dobbiamo volere", 1976; "Il silenzio non regge", 1978. Nel 1977 un gruppo di sue poesie è stato musicato dal cantautore Gualtiero Bertelli. Brugnaro è presente in numerose antologie, tra cui "Il pubblico della poesia", "Poesie e realtà", "Scrittori e industria", "Centanni di letteratura", "del dissenso", "L'altro novecento. Con altri lavoratori", nel 1980 dà vita a Milano ai quaderni di scrittura operaia "abiti-lavoro". Nel 1984 esce "Poesie" per conto della Cooperativa Punti di Mutamento. Nell'ottobre del 1990 vengono fatti affiggere sui muri di Venezia e di Mestre oltre cinquecento manifesti con una sua poesia contro la guerra. Lo stesso manifesto nel gennaio del 1991 è stato affisso sugli spazi pubblici di Roma. Nel 1993 esce il volume "Le stelle chiare di queste notti", Editore Campanotto. Nel 1996 su Viceversa, una rivista di Barcellona, appare un gruppo di suoi testi poetici con traduzione in spagnolo di Carlos Vitale. Nel 1997 undici sue poesie, tradotte in inglese da Kevin Bongiorni e Reinhold Grimm, vengono incluse nel n. 29 di Pembroke Magazine, una pubblicazione internazionale dell'Università del Nord Carolina. Nel 1998 esce negli Stati Uniti, per conto della casa editrice Curbstone, "Fist of Sun", un volume antologico della sua produzione poetica con traduzione del poeta americano Jack Hirschman. Nell'ultimo decennio sue poesie sono state pubblicate anche in Germania e in Inghilterra. Nel 2002 appare in Francia, a cura dell'editore Editinter, il testo antologico "Le Printemps murit lentament" nella traduzione del poeta Jean - Luc Lamouille e in Italia l'editore Campanotto pubblica "Ritratto di donna". Nel 2004 è uscito in Spagna il libro "No puedo callarte estos dìas" nella traduzione di Teresa Albasini Legaz. Nel 2005 esce a Berkeley "Portrait of a woman", tradotto da Jack Hirschman. Suoi testi vengono pubblicati anche su varie riviste e giornali internazionali.
Ha partecipato alle celebrazioni per i 75 anni di Jack Hirschman, organizzate da Casa della poesia, il 13 dicembre 2008 e a settembre 2009 agli Incontri internazionali di poesia di Sarajevo.
Tra le opere principali segnaliamo:
* Poesie, Cooperativa Punti di Mutamento, 1984;
* Le stelle chiare queste notti, Campanotto, 1993;
* Le stelle chiare di queste notti, Campanotto, 1993;
* Fist of Sun, Curbstone, 1998;
* Le Printemps mûrit lentement, Èditinter, 2002;
* Ritratto di donna, Campanotto, 2002;
* No puedo callarte estos dìas, Emboscal, 2004;
* Portrait of a woman, Berkeley, 2005; tradotto
* Verranno i giorni, Campanotto, 2007;
* Ils veulent nous enterrer!, Èditinter 2008;
* La mia poesia nasce come rivolta, Bohumil, 2008.
Ha pubblicato su molte riviste tra le quali "Fiera Letteraria", "Letteratura", "Nuovi Argomenti", "Tempi Moderni".
Hanno scritto di lui:

Le notizie su Brugnaro – figura storica della poesia operaia in Italia, ma prima ancora lavoratore e delegato sindacale al famigerato Petrolchimico di Marghera, e ora da poco in pensione – ci dicono anche che alcuni decenni addietro sia Ungaretti che Zanzotto (il secondo, se ben ricordo, firmando la prefazione ad un suo libro) manifestarono attenzione alla sua scrittura: scrittura primaria di lotta, lessico rude e sbrigativo, strutture metalliche di parole d’urto, violente contestazioni ritmiche e sillabiche da bacheche, da muri, da piazze.
L’Italia che scrive versi, per bocca di due tra i suoi autori più alti e ardui, rompeva il silenzio, dimostrando almeno il merito di non voler rimuovere il caso Brugnaro.

(Giorgio Luzzi, "Giornale del popolo", Lugano, 1998).

[...] Ferruccio Brugnaro non ha bisogno di essere catalogato, e relegato in una visione ideologica della poesia. Anzi, ha semmai bisogno di prendere sempre più coscienza di sé e dei suoi mezzi, e di affinare il suo modo di stare nel mondo e "rapportarsi al reale".
(Franco Loi, "Il Sole 24 ore", 1993).

Esiste un "caso" Brugnaro? Forse sì, ma certo sarebbe meglio che non esistesse – sarebbe meglio, cioè, che riuscissimo a leggere i testi di questo operaio con l’attenzione specifica che meritano, senza lasciarci forviare o distrarre da ciò che sappiamo, o crediamo di sapere, sul conto del loro autore e badando, invece, a ciò che essi stessi ci dicono sulla situazione sua e dei suoi compagni di lotta.
Sarebbe, oltretutto, un modo per cominciare a capire che la comunicazione letteraria è (o dev’essere) di tutti prima, e più, di quanto non sia (o debba essere) per tutti; in altre parole che se vi è un modo per politicizzare e gestire politicamente la letteratura, esso non consiste tanto nel far leggere quanto, appunto nello scrivere.

(Giovanni Raboni, "Tuttolibri", 1976).

Nella poesia di Brugnaro appare una realtà ambientale che ha raccapriccianti affinità con quella della guerra: è la realtà della fabbrica, o almeno di certe fabbriche, oggi. Non è esagerazione affermarlo. Ci sono in questi versi le mattine di livido inferno dopo i turni, i fumi e rumori che disintegrano, le morti a stillicidio, l’indefinibile e inarrestabile trasformazione degli uomini in cosa.
Si ha quindi, in termini attuali, un’esperienza analoga a quella di Ungaretti nelle trincee del Carso, radicalizzata ora per una mancanza di “eccezionalità”, per un sovrappiù di banale che la permea, per il vago senso del suo non aver mai fine, per il suo cogliere la degradazione, peggio che “a pietra” a materiale plastico-chimico.

(Andrea Zanzotto, "Il Giorno", 1973).