Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011

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Ernesto Cardenal Nicaragua spagnolo Ernesto Cardenal è nato il 20 gennaio 1925 a Granada, antica capitale del Nicaragua. Ha studiato letteratura all’Università di New York, in Messico e in Spagna. Tornato in patria ha partecipato alla ribellione contro Somoza. Dopo anni dedicati agli studi sacri, ha ricevuto gli ordini sacerdotali nel 1965 e ha fondato la comunità religiosa di Solentiname, in un’isola del Lago di Nicaragua, diventata un punto di riferimento per il cattolicesimo progressista latino americano e per i sostenitori della “teologia della liberazione”.
Ernesto Cardenal scrive la maggior parte della sua poesia in uno stile composito che unisce l’ideologia politica rivoluzionaria con la Teologia della Chiesa Romana. Cardenal focalizza i suoi scritti sull’oppressione nella società conmtemporanea e cerca di motivare i suoi lettori a agire per il cambiamento sociale. I critici spesso sottolineano che Cardenal sia stato fortemente influenzato dalla poesia di Ezra Pound. L’accostamento di immagini diverse, il suo contrasto tra passaggi poetici lirici e prosastici, e il suo enfatizzare la relazione fra socioeconomia e spiritualità sono mezzi impiegati da Pound nella sua opera più importante, Cantos. L’abilità tecnica e la rilevanza sociopolitica della sua opera hanno contribuito a farlo considerare come, probabilmente, il più importante poeta dell’America Latina emerso dal 1950.
Negli anni 50 Cardenal fu profondamente coinvolto nella politica rivoluzionaria del Nicaragua e si unì alle forze che si opponevano alla dittatura sostenuta dagli Stati Uniti del regime di Somoza. Convertitosi al cattolicesimo nel 1956, fu novizio a Gethsemani, abbazia trappista nel Kentucky, dovè studiò sotto la guida del famoso religioso e poeta Thomas Merton. Cardenal completò i suoi studi a Cuernavaca, Mexico, e fu ordinato sacerdote nel 1965. In seguito fu co-fondatore di Solentiname, una comunità religiosa su un’isola nel Lago Nicaragua, dove predicò la non-violenza mertoniana. Nel 1970, comunque, Cardenal mutò il suo atteggiamento nei confronti della violenza e decretò che la militanza sarebbe stata necessaria per raggiungere gli obbiettivi cristiani di pace e fratellanza desiderati dalla maggioranza anti-Somoza. Dopo la caduta del regime di Somoza nel 1979, Cardenal fu nominato Ministro della Cultura del nuovo governo del Nicaragua.
Tra le sue opere, molte delle quali tradotte in italiano, da ricordare soprattutto “Epigramas” (1961, ma scritto negli anni precedenti) intrecciano il tema amoroso con la lotta politica contro la dittatura di Somoza. “Hora 0” (1960) è un vasto affresco in cui la denuncia dell’oppressione imperialistica e oligarchica si manifesta attraverso un impasto di diversi linguaggi, con una tendenza alla dimensione epica. Nello stesso anno esce “Gethsemany, Sky” raccolta di brevi liriche ispirate al suo soggiorno nel monastero trappista statunitense, sotto la guida dello scrittore Thomas Merton. La tematica religiosa percorre tutte le opere successive. Il cristianesimo è inteso come denuncia dell’ingiustizia e profezia di riscatto. Nelle parafrasi dei “Salmos” (1964) il linguaggio biblico viene applicato ai grandi temi del mondo contemporaneo. “Oracion por Marilyn Monroe y otros poemas” (1965) cala il profetismo nella visione di un mondo alienato e mercificato. “El Estrecho Dudoso” (1966) introduce il dramma storico degli indios americani, letto attraverso i cronisti della Conquista. Questa tematica culmina nell’“Homenaje a los indios americanos” (1969), in cui l’evocazione delle antiche civiltà precolombiane assume un valore di critica alla degradazione dei rapporti umani nel mondo capitalistico. Infine con “Canto nacional” e “Oraculo sobre Managua”, entrambi del 1973, il rinnovato atto d’amore per la propria terra si unisce alla visione di una palingenesi rivoluzionaria.
Ha fatto parte del Fronte sandinista ed ha assunto il ministero della cultura in quel governo, conservando l’incarico dal 1979 al 1988, al di là della “censura” del vaticano, per essere fedele alla sua vocazione di monaco-poeta.
L’attività poetica di Ernesto Cardenal è continuata malgrado i suoi impegni politici. Ha pubblicato altri libri: il poema “Quetzacaltl” (1988) evocazione del mito indigeno e nel 1992 un nuovo ed esteso grande poema “Canto Cosmico”. Questo testo, paragonato con un po’ di azzardo alla Divina Commedia, è certamente un poema originalissimo ed uno dei più importanti prodotti dalla poesia ispanoamericana dopo il “Canto Generale” di Neruda.
Nel febbraio 2019, Papa Francesco aveva concesso la piena reintegrazione di padre Cardenal, sospeso a divinis per piàù più di trent’anni fa a causa della sua militanza politica.
Ernesto Cardenal si è spento il 1 marzo 2020, in un ospedale della capitale Managua, dove era stato ricoverato da alcuni giorni per problemi renali e cardiaci. La notizia della morte di Cardenal è stata data dalla scrittrice nicaraguense, Gioconda Belli, che lo ha definito “un grande poeta”, una vita dedicata propria “alla poesia e alla lotta per la libertà e la giustizia”.


Ernesto Cardenal è stato ospite di Casa della poesia nel 2004 nel corso dell'evento "Latinoamericapoesia".
Tra le sue opere, vanno ricordate: "Hora 0 e Gethsemany", "Sky" (1960); "Epigramas" (1961), considerato il suo capolavoro; "Salmos" (1964), parafrasi dei salmi biblici riletti in chiave contemporanea; "Oracion por Marilyn Monroe y otros poemas" (1965), denuncia dell'alienazione e della mercificazione del mondo capitalistico; "El Estrecho Dudoso" (1966) e "Homenaje a los indios americanos" (1969), dedicate al dramma storico degli indios americani; "Canto nacional" e "Oraculo sobre Managua" (1973); "Quetzalcoatl" (1988), poema in cui l'evocazione delle antiche civiltà precolombiane diventa una critica alla degradazione dei rapporti umani nel mondo capitalistico; "Canto Cosmico", esteso ed originale poema del 1992, uno dei più importanti prodotti dalla poesia latino-americana dopo il "Canto Generale" di Pablo Neruda. Jorge Enrique Adoum incontra Ernesto Cardenal
Quando nel 1975 andai a La Habana, mi accompagnò Nicole. Era il primo paese dell’America Latina e di lingua spagnola e l’unico territorio socialista che conosceva. Per questo, una sera, quando dissi che saremmo andati a una conferenza di Josè Coronel Urtecho e il giorno dopo a un recital di Ernesto Cardenal, attonita, visibilmente infastidita, rispose che non si spiegava che avevano a che fare a Cuba un colonnello e un cardinale nicaraguese, né perché noi dovevamo andare ad ascoltare, e applaudire, un discorso e una lettura di versi di «somocistas». Mancavano ancora tre anni alla vittoria del movimento sandinista… Ernesto ha continuato a riderne venti anni dopo, nel 1995 a Quito. Aveva fatto un viaggio alle Galapagos, che trovò «interessanti, ma non belle», a differenza della selva preammazzonica che decantò con entusiasmo di nicaraguese. Trascrivo qualche paragrafo della presentazione del poeta che mi toccò di fare durante l’evento letterario di pubblico più numeroso e con maggior moltitudine di giovani che si era tenuto fino ad allora nella città.
Ricordando il tempo trascorso nel monastero trappista di Gethsemani, Kentucky, Ernesto Cardenal ha citato in qualche occasione un poeta beatnik, Fratello Antonino, che affermava che era necessario trascendere la poesia stessa in favore di qualcosa più grande di lei; che chi considera la poesia come il colmo di tutte le sue aspirazioni sarà condannato ad essere un poeta inferiore; che i grandi poeti sono quelli che credono che ci siano cose e ideali maggiori della propria poesia. Sapendolo, o profetizzandolo, quel poeta nordamericano stava parlando di Cardenal.
Molti sono, nel nostro Continente, coloro che hanno considerato che ci sono cose superiori alla poesia ma, ciò che la poesia di Cardenal celebra, eleva e consacra è l’Amore che, solo nel suo caso, si può scrivere con la maiuscola senza essere ridicolo. Perché l’amore e basta, quell’amore, semplice nella sua grandezza, «per le ragazze di cui era innamorato, si trasformò in amore per Lui, con la maiuscola» E, poi, per il povero essere umano con le sue speranze e le carognate che gli avevano fatto – «Ascoltami perché ti invoco Dio della mia innocenza/ Tu mi libererai dal campo di concentramento» –; amore per la nostra America con il suo passato perduto –“E l’indio parlerà un’altra volta? / Si potrà / ricostruire con questi cocci le luminose stoviglie? E l’universo dell’Indio tornerà ad essere un Ayllu? / Il viaggio era verso più lontano e non verso il Museo / Ma nella vetrina del Museo / la mummia ancora stringe nella sua mano secca / il suo sacchetto di grani” –, con i suoi Cantici messicani, la sua Arcadia in Paraguay distrutta da Stroesner, con i suoi tiranni –“Quattro prigionieri stanno scavando una fossa./ “Chi è morto?” disse un prigionieri./ “Nessuno”, disse la guardia./ “Allora per chi è la fossa?”/ “Che ci perdi?”, disse la guardia, “continua a scavare””. Tutto perché Cardenal crede “che il Cristianesimo deve essere rivoluzionario, perché il Vangelo è rivoluzionario”.
Per questo dalla poesia semplice dei suoi Epigramas – “mi dissero che ri innamorata di un altro / e allora me ne andai nella mia stanza / e scrissi quest’articolo contro il Governo / per il quale sono prigioniero” – passò ai suoi lunghi ed ampi poemi nei quali, appresa la lezione di Ezra Pound che non esistono elementi propri della poesia, rientra tutto quel “materiale poetico prefabbricato” e la “poetizzazione della prosa documentale”: cronache storiche – nelle quali entrano le relazioni di Cortez, Gomara, Bartolemé de Las Casas, pirite i filubustieri, presidenti nordamenricani... – e dati statistici, quotazioni della borsa, cartelli in altra lingua – WANTED, NO SMOKING, DON’T WALK –, editoriali e notizie di giornali, eneddoti, barzellette, canzoni: è forse “HORA 0”, uno dei poemi maggiori della dignità e della disubbidienza dell’America Latina quello che apre il cammino ad una poesia che, fagocitaria, sembrerebbe aver reso non necessari il racconto, il romanzo e persino il saggio antropologico, etnologico o religioso, perché li compredne nei suoi versi. O perché Cardenal, insieme ad altri poeti del Nicaragua – che, come si sa, ha fin da Ruben Dario una “rendita poetica procapite senza pari nel mondo” – coltivarono la poesia esteriorista “per distinguerla da un’altra classe di poesia molto di moda nell’America Latina e che ormai era diventata una piaga: il soggettivismo lirico-onirico”. Giunse così, come egli stesso dice, ad una poesia come posters: non come lettere diretta a tutti e non solo ad alcuni: forse per questo, ad Amburgo, c’erano “mille persone che ascoltavano la sua poesia e trecento nella strada che non riuscivano ad entrare nel locale” (e una ragazza “di diciotto anni di nuovo, della stessa età di trent’anni prima” che cambiò per Dio, vendette per Dio e ancora si chiede se ne uscì perdente).
Poesia diretta, senza addobbi: rare volte un’immagine – “l’anima è come una ragazza sbaciucchiata dietro un’automobile” –, forse perché i dittatori non meritano un ritratto abbellito dal linguaggio dei poeti, fino al punto di chiedersi se è bene che vi si nomini: quando da qui a cento anni qualcuno leggerà Cardenal o Neruda, sarebbe bello che ignorasse non le imprese sordide, che di questo è fatta la nostra storia, ma il nome stesso di Somoza, Batista, Truillo, che conoscerebbero solo perché essi lo lasciarono scritto. [...] E Cardenal, con la sua faccia di poeta e di profeta, trasformato in cospiratore quando nell’aprile del 1954 partecipò ad una congiura contro il tiranno; quando, contemplativo, fece della comunità di Solentiname l’unico posto del mondo in cui si compiva il Vangelo degli umili; quando, voce attiva della epopea al fronte di Liberazione Sandinista dedicò il suo oceanico Canto Nacional; quando, critiano puro, a Cuba – come in una “seconda conversione” – trovò che “i grandi compiti della Rivoluzione sono compiti essenzialmente cristiani, evengelici”, e capì che “quando Cristo dice che se a uno gli chiedono di percorrere un miglio con un carico, che vadano in due, sta dicendo la stessa cosa che la Rivoluzione esige dai rivoluzionari”; quando, ammirato e addolorato, si chiede: “e chi amò molti / anche senza conoscerli e diede la vita per essi?/ Qualcosa di nuovo./L’uomo nuovo. Se nò, non sarebbe nuovo / L’uomo nuovo. / Lo abbiamo visto: / con gli occhi aperti, la barba nera e i ricci neri, / steso nel lavatoio come il Cristo di Mategna a Milano.” Forse che l’universo abortirà l’uomo nuovo? / un giorno l’umanità si amerà tutta come un unica coppia / sebbene manchi ancora un tempo geologico”; quando, dopo essere stato e lasciato di essere Ministro della Cultura, continuò ad avanzare, santo accanito, con la sua fede dolce e corretta, solo perché l’insolenza del suo partito e la pompa del Vaticano impedì loro di seguire col medesimo passo, non si era Cardenal trasformato in soldato per necessità, necessità sua, del suo paese agonizzante, dell’America venduta? (qualcosa di questo verrà fuori, quando sarà giunto il momento, nelle sue memorie: Vita perdida, primo volume di quella che sarà una trilogia, sebbene cominci con l’incontro di Ernesto con Dio in un aereo, si occupa de “le ragazze in fiore” che amò, della disciplina militare del suono viziato, della sua residenza in Messico, dei primi anni).
[...] Per quanto di spirituale conservano la sua poesia e la sua condotta c’è chi lo paragona a San Juan de la Cruz: trovo, ad esempio, una pagina con questo paragone: “Quello che in San Juan de la Cruz è un dialogo e un’attesa dell’Amata (la Chiesa) del suo Amato (Cristo) in Cardenal passa ad essere l’attesa di vergini prudenti (alienazione) dello sposo (Stati Uniti)”. Dubito che una vergine prudente per folle che sia aspetti un simile sposo. Piuttosto, in opposizione, e d’accordo con Santa Teresa che parla di San Juan de la Cruz: “Non lo capisco. Spiritualizza all’estremo”, io direi, per quanto riguarda Cardenal: “Lo capisco. Esteriorizza all’estremo”. E solo conserverei, come parallello e antitesi allo stesso tempo, il Cantico Espiritual dello spagnolo vicino al Cantico Cosmico del nicaraguense per la dimensione universale di entrambi: così distanti – ci sono 383 anni tra la nascita dell’uomo e dell’altro – li uniscono, tenendosi per mani, Omero, Virgilio, Dante, Withman. Niente di meno.
A differenza di Juan Ramon Jimenez (“... starà già leggendo le mie poesie a Dio”) Ernesto Cardenal non necessita di intermediario nella sua relazione con Lui: si intende con Lui, si rivolge a Lui, gli parla, gli chiede, come farei io stesso, per Marilyn Monroe: “Perdonala Signore [parlando della piccola commessa che come tutte le piccole commesse sognò di essere una stella del cinema] e eprdona a noi / per il nostro 20th Century / per questa Colossale Super Produzione nella quale tutti abbiamo lavorato. / Ella aveva fame di amore e le offrimmo tranquillanti. / Per la tristezza di non esser santi / le fu raccomandata la psicoanalisi [...] Fu / come qualcuno che ha fatto il numero dell’unica amica / e sentì solo la voce di un disco che dice: wrong number. / O come qualcuno che ferito dai gangster / allunga la mano verso un telefono disconnesso. / Signore / chiunque sia stato colui che lei stava per chiamare / e non chiamò (e forse non era nessuno / o era Qualcuno il cui numero non sta nell’elenco di Los Angeles) / rispondi Tu al telelono!”
Ho gratitudine per lui, inoltre perché risentito che Dio da quando avevo tredici anni, quando non accolse la mia preghiera che non lasciasse morire un umile signora, Cardenal mi riconcilia con Lui: questa volta io non potrei, onestamente, dire che non ha risposta a quella chiamata.
[...]
Jorge Enrique Adoum