Giuseppe Conte Italia italiano -
Giuseppe Conte è nato a Imperia nel 1945. Si è laureato in Lettere presso l'Università Statale di Milano,ed è stato collaboratore di riviste letterarie, redattore della rivista Il Verri diretta da Luciano Anceschi, assistente universitario di Estetica a Milano con il Prof. Dorfles e di Letteratura Italiana a Torino con il Prof. Barberi Squarotti, e docente nelle Scuole Superiori. Abbandonato l'insegnamento, si è poi dedicato a tempo pieno all'attività di scrittore. Esordisce nel 1972 con un volume come "La metafora barocca" (Mursia editore), destinato a diventare un punto di riferimento costante per gli studi secenteschi, e nel 1979 in poesia con "L'Ultimo aprile bianco" (Guanda, Società di Poesia), cui seguirà nel 1983 "L'Oceano e il Ragazzo", uscito direttamente nei tascabili della BUR di Rizzoli, che fu salutato da Italo Calvino come un libro fondamentale nel rinnovamento della poesia italiana. In seguito, ha pubblicato altre raccolte di poesia, romanzi, saggi, libri di viaggio, libretti d'opera, testi teatrali. Il suo ultimo romanzo, "Il Terzo Ufficiale", Longanesi 2002 ha vinto i premi Hemingway e Basilicata. Ha tradotto Blake, Shelley, Whitman, D. H. Lawrence, ed ha curato l'antologia "La lirica d'Occidente", Guanda 1990.
È in uscita una sua nuova antologia che, prima in Italia, comprenderà anche la poesia delle maggiori tradizioni dell'Oriente (quella araba, persiana, turca, indiana, cinese, giapponese). Dal 1986, è consulente per la poesia dell'editore Guanda (Gruppo Longanesi), e dal 1984 collaboratore di diversi quotidiani, settimanali e periodici. Ha scritto come commentatore su Stampa Sera, come critico letterario sul supplemento di Repubblica "Mercurio", e attualmente è collaboratore del Giornale e del Secolo XIX.
Tra i libri pubblicati: "Lettera ai disperati sulla primavera" (Ponte alle Grazie, 2006) e "Ferite e rifioriture" (Lo Specchio, Mondadori 2006).
Momento culminante di una storia poetica iniziata trent'anni fa con "L'ultimo aprile bianco", "Ferite e rifioriture" si caratterizza per un registro epico, nel quale figurano, forse per la prima volta, momenti di intenso pathos autobiografico. Nel libro precipitano, dunque, abbandono, inquietudine e malinconia che investono di senso inedito il grande tema della poesia di Conte e della nostra vita: il destino della cultura occidentale.
Nel 2015 la Mondadori pubblica in un Oscar l'intera produzione poetica (1983-2015).
È stato ospite di Casa della poesia nel febbraio 2007 e poi a Reggio Calabria per "VersoSud" e nel 2008 agli Incontri internazionali di poesia di Sarajevo 2008. Opere
Poesia Sulla divisibilità dell'io, inserita nell'antologia Zero: testi e anti-testi di poesia, a cura di Franco Cavallo, Altri Termini, Napoli 1974 Èpater l'artiste, in “Altri Termini” n. 4-5, 1973-74, poi inserita nell'antologia Il pubblico della poesia, a cura di Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli, Lerici, Cosenza 1975 Il processo di comunicazione secondo Sade, Napoli, Edizioni di Altri Termini, 1975; Ancona, PeQuod, 2005 L'ultimo aprile bianco, Milano, Guanda, 1979 L'oceano e il ragazzo, 1983, Milano, TEA, 2002 Le stagioni, Milano, BUR, 1988, premio Montale Dialogo del poeta e del messaggero, Milano, Mondadori, 1992 Canto d'oriente e d'occidente, Milano, Mondadori, 1997 La complicità del pane, Lecce, Manni, 1998 Nuovi canti, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2001 Lettera ai disperati sulla primavera, Firenze, Ponte alle Grazie, 2002 Ferite e rifioriture, Milano, Mondadori, 2006, Premio Viareggio Altro bene non c'è che conti: poesia italiana contemporanea per giovani innamorati, 2009, antologia poetica in collaborazione con Maurizio Cucchi e Roberto Mussapi
Narrativa Primavera incendiata, Milano, Feltrinelli, 1980 Equinozio d'autunno, Milano, Rizzoli, 1987 I giorni della nuvola, Milano, Rizzoli, 1990 Fedeli d'amore, Milano, Rizzoli, 1993 L'impero e l'incanto, Milano, Rizzoli, 1995; Genova, De Ferrari, 2003 Il ragazzo che parla col sole, Milano, Longanesi, 1997, Premio Dessì; Milano, TEA, 2002 Il terzo ufficiale, Milano, Longanesi, 2002, Premio Hemingway; Milano, TEA, 2005 La casa delle onde, Milano, Longanesi, 2005, Premio Mondello L'adultera, Milano, Longanesi, 2008, Premio Stresa Il male veniva dal mare, Milano, Longanesi, 2013, ISBN 8830436593
Saggistica La metafora barocca: saggio sulle poetiche del Seicento, Milano, Mursia, 1972 Metafora (a cura di), Milano, Feltrinelli, 1980 La lirica d'occidente (antologia), Parma, Guanda, 1990; Milano, TEA, 1998 Terre del mito, Milano, Mondadori, 1991; Milano, Longanesi, 2009 Manuale di poesia, Parma, Guanda, 1995 Il sonno degli dèi: la fine dei tempi nei miti delle grandi civiltà, Milano, Rizzoli, 1999 Il passaggio di Ermes: riflessione sul mito, Firenze, Ponte alle Grazie, 1999 Poesia del mondo (antologia), Parma, Guanda, 2003 Viaggio sentimentale in Liguria, Ventimiglia, Philobiblon, 2010
Teatro Boine, due atti per la musica di Gianni Possio e per la messa in scena e interpretazione di Franco Carli, Rugginenti, Milano 1986 Veglia, oratorio per soli, sestetto vocale e orchestra da camera, da un'idea di Mimmo Paladino, Carsa Edizioni, Pescara 2002 Le Roi Arthur et le sans-logis, MEET (edizione bilingue), 1995 L'Iliade e il jazz, su musiche di Duke Ellington, rappresentato ad Alassio nell'estate 1995 Ungaretti fa l'amore, Quaderni dell'Ariston, Sanremo 2000 Nausicaa, in “Sincronie” n. 10, 2001; poi, con introduzione di Fabio Pierangeli, Vecchiarelli, Manziana (Roma) 2002
Antologie, curatele, introduzioni La lirica d'Occidente. Dagli Inni omerici al Novecento, Guanda, Milano 1990; poi TEA, Milano 1998 Almanacco del Mitomodernismo 2000, a cura di Giuseppe Conte, Tomaso Kemeny e Stefano Zecchi, editore Stalla, Alassio 2000 Gli argonauti. Eretici della poesia per il XXI secolo, a cura di Gabriella Galzio, introduzione di Giuseppe Conte, Archivi del Novecento, Milano 2001 La poesia del mondo. Lirica d'Occidente e d'Oriente, con uno scritto di Adonis, Guanda, Milano 2003
Traduzioni Percy Bysshe Shelley, Ode al vento di ponente, seguito da Nota per una traduzione, “Il verri” n. 12, 1978 David Herbert Lawrence, La donna che fuggì a cavallo, Guanda, Milano 1980 William Blake, Canti dell'innocenza e Canti dell'esperienza, in Id., Opere, Guanda, Milano 1984 David Herbert Lawrence, Poesie, Mondadori, Milano 1987 Percy Bysshe Shelley, Poesie, Rizzoli, Milano 1989 Serge Rezvani, L'ottavo flagello, Rizzoli, Milano 1991 Walt Whitman, Foglie d'erba, Mondadori, Milano 1991 Walt Whitman, O capitano! Mio capitano!, Mondadori, Milano 1995 David Herbert Lawrence, Mattino di primavera e altre poesie, Passigli Editori, Firenze 2008 GIUSEPPE CONTE, FARE POESIA SENZA PAURAIntervista di Francesco Napoli a Casa della poesiaGiuseppe Conte, classe 1945, è uno dei poeti che negli anni Settanta, a cominciare dal suo L’ultimo aprile bianco, ha impresso una svolta nella poesia italiana, rinnovandola dal profondo e consegnandola all’attuale topografia.
Di recente lei ha avuto un incontro di poesia a Gerusalemme. Che aria si respira su un fronte così caldo?
Due impressioni distinte: una sera ho parlato con poeti israeliani, poco conosciuti nel circuito internazionale, e ho trovato in loro un radicamento alla Bibbia che non immaginavo e che mi ha molto colpito. Non ho invece trovato alcuno spirito di violenza o di guerra. Il giorno dopo ho incontrato invece i poeti arabo-palestinesi che vivono nei confini politici di Israele. Loro si sono lamentati di un aggressione non soltanto israeliana ma occidentale in generale. Ma l’impressione è che la poesia, israeliana e araba, sia ancora in grado di affratellare le persone. Tornando però all’aereoporto ho visto il muro: leggerne o scorgerlo nelle immagini televisive è un conto; osservare come separa per chilometri i territori dà uno sgomento terribile.
Nel suo fare, non solo poetico, ha sempre cercato di mettere insieme due mondi: quello occidentale e quello orientale, riscoprendo e andando a leggere miti e autori lontani dalla tradizione occidentale.
A un certo punto della mia formazione ho avvertito la necessità di aprire verso oriente, orizzonti extraeuropei poco battuti. Sentivo un’esigenza forte di uscire da una crisi creativa e spirituale della nostra società andando a cercare delle fonti altre ma amo la tradizione occidentale e italiana dalla quale provengo e la sua lingua dove ho il mio radicamento vero. Dobbiamo però saper cogliere anche da altri mondi e culture quelle energie spirituali mancanti in un occidente ormai insterilito e metterle in relazione alle nostre, non creare pasticci e confusioni, ma sintonie. Contrapponendomi a un poeta genovese dell’avanguardia che parlava di “odio di classe”, ho scritto a sfavore dell’odio di classe e per un meticciato amoroso.
A proposito di oriente e occidente. Nell’ultima sua raccolta "Ferite e rifioriture" in una sorta di prologo in versi dichiara di voler abbandonare Yusuf e Walt Whitman. Cosa voleva dire?
Il libro precedente, "Canti d’oriente e di occidente", l’avevo diviso in due parti: nella prima fingevo di essere un poeta arabo, Yusuf Abdel Nur, Giuseppe portatore di luce; la seconda, invece, l’ho scritta a partire da Whitman. Questo libro era un po’ divaricato, c’erano due strade anche stilisticamente lontane tra loro. Le poesie orientali, scritte in forma di gazal, sono distici rimati per poesie in forma leggera. Invece quelle whitmaniane sono quasi sempre di argomento politico e sociale. L’addio vuol dire che dovevo trovare non tanto una sintesi quanto una via di fuga e sono tornato allora sui miei passi con una poesia più privata e d’amore.
Spesso nella raccolta lei si rivolge a se stesso e in un passo un po’ ungarettiano dichiara di divenire da uomo di pena uomo di gioia.
La pena è una sofferenza immotivata e immotivabile ma più feroce di quella del dolore del mondo. Se uno ha un dolore privato sa cosa è, lo focalizza. A volte però hai una sensazione del dolore, una delle cose che muovono la poesia, che non sai da cosa deriva, perché il mondo e la vita non sono come vorresti, perché senti un’angoscia che non sai da dove parte. La gioia c’è, una sola, vera, quella di scrivere, con il suo potere alchemico di riscatto che muta la pietra del dolore nell’oro della scrittura.
In contemporanea a "Ferite e rifioriture" è uscito il suo "Lettera ai disperati sulla primavera". Un motivo tra i tanti dal libro: “La bellezza è sempre stata per le strade. Non cercatela sugli schermi, non cercatela nelle sfilate di moda”. Come negli anni Ottanta torna su un tema tabù della nostra cultura.
Sì, in questo libro ho parlato nuovamente anche di bellezza. Ho sempre pensato che la bellezza sia energia luminosa, idea lontana dai canoni neoclassici. E me la prendo anche con la chirurgia plastica e l’estetica da essa derivata. Ho avuto a questo proposito un attacco feroce dal giornale della Confindustria che invece di esaminare in profondità un libro così denso e articolato ha preferito appigliarsi a un rigo solo dove esprimo un maggior piacere estetico nel vedere un seno naturale che uno siliconato per scrivere, irridendomi, “a Conte piacciono i seni cascanti”.
Ora uno sguardo al suo passato, l’esordio risale al 1975. Come ricorda il clima di quegli anni.
Lo ricordo come molto duro. C’era stato uno iato terribile tra Sessantotto e quegli inizi anni Settanta. Ero studente alla Statale di Milano, nel cuore della contestazione giovanile, e c’era una battaglia feroce condotta dalla politica contro l’arte. Non è che voler cambiare la società doveva voler dire rifiutare la poesia, eppure sembrava proprio così. La poesia era la grande interdetta per la mia generazione. I maoisti di allora, in tanti oggi in televisione a discettare e a guadagnar fior di soldi, con il loro berretto e lo stemma rosso a dire “tu, come ti permetti di parlare di poesia. Devi servire il popolo!”. Una durezza, altro che poesia. Chi voleva farla doveva agire quasi in clandestinità.
Sempre in quel 1975 esce l’antologia "Il pubblico della poesia" e tu eri in compagnia di Spatola, Vassalli e Viviani. Compagnia alquanto particolare.
"Il pubblico della poesia" effettivamente fu importante ma si trattava, con i 64 poeti inclusi, soprattutto di un’ampia panoramica dei tempi. Ero in compagnia di autori che come me venivano considerati promanazione della neovanguardia. Allora ero redattore al “Verri” e quindi…
Poi la svolta con "L’ultimo aprile bianco" del 1979.
Sì, presi una strada tutta mia, riconosciuta anche da quel mai abbastanza rimpianto grande critico dell’avanguardia che fu Luciano Anceschi che ne scrisse bene. Invece gli altri neoavanguardisti cominciarono ad odiarmi in maniera inimmaginabile forse perché il mio libro ebbe seguito. Anche insospettabili come Calvino mi furono favorevoli e tutt’oggi, a distanza di trent’anni, qualche epigono di quell’area continua a meravigliarsi che perfino Italo Calvino aveva giudicato favorevolmente quel libro.
La sua ricerca ha portato altri poeti a seguirla.
Devo dire che mi sentivo isolato nella mia azione poetica. Ma, ad esempio, con Milo De Angelis ci siamo subito trovati in sintonia, pur nella differenza enorme dello stile e del linguaggio, della personalità e del temperamento. Milo ha conservato molto più di me questo fare da maestro di giovani leve. Ma poi ci sono stati Roberto Carifi, Roberto Mussapi o Rosita Copioli e tanti con i quali ho stretto un legame e un dialogo forte e continuo nel tempo. Sulla poesia finalmente si lavorava con entusiasmo, con interesse dei media e dei grandi giornali, e un’esplosione editoriale che oggi purtroppo sogniamo soltanto.
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Intervista realizzata, a Casa della poesia, in occasione della rassegna “Poesia italiana contemporanea”.