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04/04/2011
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Alfonso Gatto
nacque a Salerno da Giuseppe e da Erminia Albirosa il 17 luglio 1909. La sua era una famiglia di marinai e di piccoli armatori che provenivano dalla Calabria.
La sua infanzia e la sua adolescenza furono piuttosto travagliate. A Salerno egli compì i primi studi. Nel 1926 si iscrisse all'Università di Napoli che dovette tuttavia abbandonare qualche anno dopo a causa di difficoltà economiche.
Da quel momento la sua vita fu piuttosto irrequieta e avventurosa trascorsa in continui spostamenti e nell'esercizio di molteplici lavori. Dapprima commesso di libreria, in seguito istitutore di collegio, correttore di bozze, giornalista, insegnante. Nel 1936, a causa del suo dichiarato antifascismo, venne arrestato e trascorse sei mesi nel carcere di San Vittore a Milano.
Durante quegli anni Gatto era stato collaboratore delle più innovatrici riviste e periodici di cultura letteraria (dall'"Italia Letteraria" alla "Rivista Letteratura" a "Circoli" a "Primato" alla "Ruota"). Nel 1938 fondò, con la collaborazione di Vasco Pratolini "Campo di Marte" per commissione dell'editore Vallecchi, ma il periodico durò un solo anno. Fu comunque questa una esperienza significativa per il poeta che ebbe modo di cimentarsi nella letteratura militante di maggior impegno.
"Campo di Marte" era nato come quindicinale (il primo numero uscì il 1 agosto 1938) qualificato come periodico di azione letteraria e artistica e con l'intento di educare il pubblico a comprendere la produzione artistica in tutti i suoi generi.
Nel 1941 Gatto ricevette la nomina ad ordinario di Letteratura italiana per "chiara fama" presso il Liceo Artistico di Bologna e fu inviato speciale de "L'Unità" assumendo una posizione di primo piano nella letteratura di ispirazione comunista. In seguito si dimise dal partito e diventò un comunista "dissidente".
Dopo la guerra egli riprese la sua attività di giornalista e continuò a portare avanti il suo impegno di poeta. Nel 1955 ricevette il Premio Bagutta per la sua opera La forza degli occhi, edita da Mondadori.
Morì l'8 marzo del 1976 a Capalbio in provincia di Grosseto per un incidente automobilistico.
Nel 2006 Casa della poesia ha organizzato un omaggio al poeta salernitano in occasione dei 30 anni dalla scomparsa; e nel 2009, anno del Centenario della nascita di Gatto, in collaborazione con l’Associazione Centro studi per la Fondazione Gatto, una serie di manifestazioni ed eventi a Salerno e in altre città italiane.
Ha avviato inoltre alcuni progetti di traduzione in diversi paesi europei e negli Stati Uniti.
Opere Principali
Poesia
* Isola, Napoli 1931
* Morto ai paesi, Modena 1937
* Poesie, Milano 1939 8nuova edizione, Firenze 1943
* L'allodola, Milano 1943
* La spiaggia dei poveri, Milano 1944
* Amore della vita, Milano 1944
* Il sigaro di fuoco, Milano 1945
* Il capo sulla neve, Milano 1947
* Nuove poesie, Milano 1949
* La forza degli occhi, Milano 1945
* La madre e la morte, Galatina 1959
* Poesie, Milano 1961
* Osteria flegrea, Milano 1962
* La storia delle vittime, Milano 1966
* Rime di viaggio per la terra dipinta, Milano 1969
* Poesie d'amore, Milano 1963
* Desinenze, Milano 1977
Prosa
* La sposa bambina, Firenze 1944
* La coda di paglia, Milano 1948
* Carlomagno nella grotta, Milano 1962
Teatro
* Il duello, Milano 1962
Filmografia
Alfonso Gatto ha anche avuto diverse parti in alcuni film. In "Il sole sorge ancora" (1946) di Aldo Vergano aveva la parte di un conduttore di treni. Altre parti ha avuto in due film di Pier Paolo Pasolini: in "Il Vangelo secondo Matteo" (1964) recitava la parte dell'apostolo Andrea, in "Teorema" (1968) la parte di un dottore. Altre parti ha avuto in "Cadaveri eccellenti" (1976) di Francesco Rosi dove era Nocio e in "Caro Michele" (1976), di Mario Monicelli, tratto dal romanzo di Natalia Ginzburg, dove interpretava il padre di Michele.
Che cosa è stata la Resistenza? “Resistere” significa contrastare una forza che agisce contro di noi, che minaccia di superarci e che ci invita a cedere. “Resistere” significa durare al limite della nostra tenacia e della nostra pazianza fisica. È una prova che scegliamo nell’atto di essere, un convincimento interiore per una ragione ultima. Resistono i poeti alla perenne approssimazione della verità che va colta nel segno. Vederla, sentirla in sé, parteciparne, non significa ancora averla raggiunta. Essa in noi deve farsi parola e atto della parola (...)
La Resistenza cioè non è un momento eccezionale dell’essere: essa è all’opposto un tempo che dura, il farsi, nel tempo e nella storia, di una coscienza comune.
(...)
Bisogna resistere all’“empiria”: e l’unico modo per resistervi è lavorare perennemente per una rivoluzione che abbia nell’uomo ilo suo centro, nella conoscenza e nella riconoscenza che la storia, ragione e dottrina, è stata portata avanti dalle vittime: da millenni di vittime.
(...)
Ci sono momenti della storia, nei quali l’ordine morale degli uomini è così sovvertito che la vita sembra ritrarsi da noi per abitare altri spazi, altri luoghi. L’uomo che vince la gravità e cammina nello spazio forse la va cercando con una nuova pazienza umile. Contro i bruti empirici torna Ulisse, la sua virtù, la sua conoscenza, l’irresistibile seme dell’andare avanti.
Mi richiamo, col vostrro aiuto, a qualcosa che ancora ci sfugge e che è in noi – riconosciamola – la coscienza di non aver pace. Ma solo chi non ha pace può darla. La speranza ha lunghe tenaci radici nella “resistrenza” dell’uomo.
(...)
Al poeta, tutti i provocatori chiedono prova della sua “resistenza”. Al confine della realtà, nell’atto d’essere inutile, gli si chiede di dare un senso alle vittime, di salvare nell’esperienza del dolore il loro rifugio
Ove non celebri il vincitore, il poeta servirà tuttavia a portare il sole sulle sciagure umane, sui vinti? Questo deve finire: e per l’autore, è un proposito che non lascia soltanto nelle parole.
Nella casa della sua poesia, egli ha da ospitare l’accusa, la memoria e il numero dlle vittime, quante la storia ne tramanda da millenni di termitai, di deserti, di stermini, di guerre. Dobbiamo resistere alla vergogna di avere così facilmente ragione di noi, in nome del torto che ci lascia vivere.
Misurare nell’arte lo sgomento dlle vittime, il loro silenzio, il giubilo esoso che, oltre la morte, nelle affollate visioni del perdono estetico, le accomuna al gaudio dei vincitori: questo è, forse, il primo tentativo di averle tra noi, di vederle, di riconoscerle, di ascoltarle, e in una voce che, più della nostra, serva a rifiutare la ricettività ipocrita e dolente della cultura.
Roma, dicembre 1965
Per approfondire leggi i nostri libri
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Il sigaro di fuoco
Anno:
2012
Pagine:
80
Collana:
Poesia come pane
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