Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011

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Luciano Morandini Italia italiano Luciano Morandini è nato a San Giorgio di Nogaro nel 1928 e risiede a Udine. Negli anni Cinquanta ha fatto parte del gruppo dei poeti del neorealismo friulano.
Tra i suoi libri di poesia si ricordano "Lo sguardo e la ragione" (antologia, 1957-1978, a cura di Elvio Guagnini), Studio Tesi, 1979; "Piazzale con figure", Rebellato Editore, 1983; "Infrantume",Edizioni del Leone, 1984; "L’albero di Mantes", Campanotto Editore, 1990; "Fabula notturna", Edizioni Kappa Vu, 1996 (rappresentata nel 1997 al Mittelfest di Cividale del Friuli); "Berlusconiane" (epigrammi), Edizioni Kappa Vu, 1996; "Lunario dell’insonnia", Campanotto Editore, 2000.
È anche autore di quattro racconti lunghi: "San Giorgio e il drago", Edizioni Studio Tesi, 1984 (prima selezione Premio Campiello 1984); "Lo sfrido", Edizioni San Marco, Venezia, 1989 (riediti accorpati nel 2004 per la collana “Biblioteca del Messaggero Veneto” intitolata “Friuli d’Autore”); "Gli occhi maghi", Campanotto Editore, 1992; "L’orologio di Saba", Campanotto Editore, 1994. Nel 1998 è uscito, per Campanotto Editore, "Promemoria friulano", la testimonianza di un’avventura intellettuale e artistica vissuta in Friuli dagli anni Cinquanta ai giorni nostri. Alcune sue opere sono state tradotte in sloveno, serbo-croato, tedesco e inglese.
Morandini ha collaborato con riviste e giornali vari e ha curato programmi culturali per la Rai regionale e ha collaborato a "Il Nuovo", settimanale del Friuli-Venezia Giulia ed è stato direttore responsabile delle riviste "Zeta" e "Diverse Lingue".

Luciano Morandini ci ha lasciato nel settembre 2009.

Ha partecipato nel 2003 agli "Incontri internazionali di poesia di Sarajevo" e nel 2004 a "Sidaja" (Trieste).
Opere poetiche

Lo sguardo e la ragione (antologia, 1957-1978, a cura di Elvio Guagnini), Studio Tesi, 1979
Piazzale con figure, Rebellato Editore, 1983
Infrantume,Edizioni del Leone, 1984
L’albero di Mantes, Campanotto Editore, 1990
Fabula notturna, Edizioni Kappa Vu, 1996 (rappresentata nel 1997 al Mittelfest di Cividale del Friuli)
Berlusconiane (epigrammi), Edizioni Kappa Vu, 1996
Lunario dell’insonnia, Campanotto Editore, 2000
Camminando camminando
Morandini Luciano, 2004, Campanotto

Opere narrative

San Giorgio e il drago, Edizioni Studio Tesi, 1984 (prima selezione Premio Campiello 1984);
Lo sfrido, Edizioni San Marco, Venezia, 1989 (riediti accorpati nel 2004 per la collana “Biblioteca del Messaggero Veneto” intitolata “Friuli d’Autore”);
Gli occhi maghi, Campanotto Editore, 1992;
L’orologio di Saba, Campanotto Editore, 1994.

Saggi

Promemoria friulano, (Campanotto, 1998)

LUCIANO MORANDINI

POESIA COME LUOGO DI LIBERTA’



Prima di leggere il mio breve intervento, desidero fare una premessa, questa: dire che cosa sia la poesia in sé è impossibile.
La possiamo descrivere, seguirne gli svolgimenti tematico-formali, ma senza mai raggiungere il suo nocciolo irradiante, quel nucleo che costringe i poeti a parlare la loro lingua, che nelle loro mani, pur continuando a essere la lingua a tutti nota, si carica di un più che ne fa altro, qualcosa che riesce a toccarci, a prenderci.
Ma ecco soltanto due punti di vista che lo suffragano. Sono di due poeti italiani : Umberto Saba e Giorgio Caproni, l'uno scomparso nel 1957 e l'altro nel 1990. Ma molti altri potrebbero essere citati, tanti quanti sono i poeti.
Umberto Saba affermava che la poesia vera, autentica, è soltanto la poesia onesta .Era quanto restava da fare ai poeti : negarsi a una poesia cerebrale, intellettualistica o frutto d'ambizione. Infatti, diceva, " Chi non fa versi per il sincero bisogno di aiutare con il ritmo l'espressione della sua passione, ma ha
intenzioni bottegaie o ambiziose, e pubblicare un libro è per lui come urgere una decorazione o aprire un negozio, non può nemmeno immaginare quale tenace sforzo dell'intelletto, e quale disinteressata grandezza d'animo occorra per resistere ad ogni lenocinio, e mantenersi puri e onesti di fronte a se stessi; anche quando il verso menzognero è, preso singolarmente, il migliore". La poesia onesta era, per Saba, la poesia sincera, che tende all'intimo vero, alla" verità che giace al fondo". Per Giorgio Caproni, vocazione alla poesia è sempre stata - affermava - " quella di riuscire, attraverso la pratica del verso, a trovare,cercando la mia, la verità di tutti. O – diceva - per essere più modesti e precisi, una verità ( una delle tante ipotizzatoli ) che possa valere non soltanto per me ma per tutti gli altri ( o "me stessi" ) che formano il prossimo (l'Altro, diciamo pure ), del quale io non sono che una delle tante cellule viventi.
Anche per lui il poeta è un minatore: " E' poeta colui che riesce a calarsi più a fondo in quelle che il grande Machado definiva las segretas galerias del alma.
Se così non è, affermava Caproni, "l'esercizio della poesia rimane puro narcisismo...
Ogni narcisismo cessa appena il poeta, partendo dalle proprie personali esperienze, e costruendo con esse le proprie metafore, riesce a chiudersi e a inabissarsi talmente in se stesso da scoprirvi e portare a giorno, quei nodi di luce che sono non soltanto dell'io, ma di tutta intera la tribù. Quei nodi di luce -
continuava - che tutti i membri della tribù possiedono, ma che non tutti i membri della tribù sanno di possedere, o riescono a individuare.".
Due opinioni, due idee di poesia che altri poeti possono certamente contestare, negare o far proprie o arricchire, secondo altri o corrispondenti punti di vista.
Se così è per poeti come Saba e Caproni, figuriamoci se non resta opinione contestabile la mia, che cercherò ora d'esprimere.



Sulla poesia "luogo" di libertà


L'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura celebra la poesia (2000) il 21 marzo, quando dalla porta del tempo stagionale muove i primi passi la primavera. Sarà una banalità affermarlo e farlo notare, ma a me sembra coincidenza non casuale. Infatti, stagione e atto creativo della parola rimandano entrambi a un'idea di risveglio, di rinascita, di uscita da un sonno. Per quanto riguarda il mondo della natura, si passa gradualmente dalla spoliazione, dal rinsecchimento alla bellezza di una vita in atto e gli umori sotterranei trasformano la terra in un paesaggio, in disposizione di cose che, per simmetrie o negazioni, toccano le corde del nostro vedere,!'azione che ci fa percepire con gli occhi e poi sentire e capire realtà.
Dal sentire e capire, dal loro intrecciarsi e cedersi reciprocamente umori nasce anche il germoglio della poesia, la necessità di far sbocciare dal nostro mondo interiore la bellezza dell'espressione, della parola che dice creando, combinando sensazioni sentimenti e pensieri alla nostra memoria, ai sedimenti del nostro vissuto.
E poter dire, poter comunicare rappresenta sempre, e insieme, conoscenza di sé e degli altri. " Di ciò che sono - scrive il filosofo Karl Jaspers - non prendo coscienza come essere isolato. Mi sperimento soltanto nella comunicazione."
La poesia è dunque comunicazione dialogica, seppure complessa. La sostanza della poesia appare complessa perché fonde sollecitazioni che provengono dall'esterno, dal mare della realtà, a umori di interiorità, a modi personali di reazione, che assumono uno stile particolare nel loro rapportarsi alle situazioni, coagulandosi in strutture lunghe o brevi, di genere aperto o chiuso, dalle quali emana sempre un ritmo, una musicalità particolare nel loro "cantare" sentimenti e pensieri, perché, afferma George Steiner, la poesia " anela anche allo statuto della musica ".
Tutto questo respira l'aria del tempo storico, essendo la poesia il più vasto e fornito catalogo- di esperienze individuali, sommate a riflessi collettivi, della cultura umana, In esso il privato , l'intimità
dei poeti, e il pubblico formano un amalgama estetico nel cui cuore occhieggia la tensione alla verità, a quella determinata dallo spirito del tempo e che l'uomo persegue lungo il cammino della propria esistenza. Infatti, non è forse possibile ricavare dalla poesia, dallo sviluppo delle sue tendenze, anche gli aspetti meno appariscenti di un dato tempo storico, le sue micropulsazioni e pulsioni, i suoi impulsi, le sue spinte?
Sempre che la storia non sia concepita come pura e semplice catalogaziene di fatti, piuttosto di essere analisi degli intimi congegni dei destini umani, sostanziati di sensibilità, mentalità, tecniche, economia, cultura. In una parola: storia nutrita, di volta in volta, da ciò che sorge e si sviluppa da problemi contemporanei.
I percorsi della storia non seguono una linea retta che vada dal bene al meglio. Essi,invece,accanto a periodi di stasi, al mantenimento di un dato profilo di sviluppo, contano anche salti, deviazioni o nette, rivoluzionarie fratture, oppure l'andamento può essere incerto, combattuto tra conservazione dell'esistente e spinte a superarlo. All'interno di questi percorsi accidentati si formano ,per una causa o per l'altra, quei modi di malessere che definiamo crisi. Anche l'epoca che stiamo vivendo è di crisi, di rottura di un precedente assetto. Oggi, il nuovo passo della storia è contrassegnato dalla cosiddetta mondializzazione e dal peso sempre più determinante e invasivo assunto dalla tecnologia. La teoria della mondializzazione, che vede nel mondo non più una entità smisurata, ma un "villaggio ", aveva mosso i primi passi con McLuhan, il famoso semiologo, che aveva visto nella tecnologia dei mass-media, nel loro linguaggio e ruolo, il fattore rivoluzionario del XX secolo, quello che avrebbe prodotto un'evoluzione storica, influenzando non solo l'organizzazione sociale, ma anche la psicologia individuale e collettiva, fino a una profonda mutazione antropologica, creando le condizioni per una società integrata, tendenzialmente planetaria.
A questo evento di omologazione, già ampiamente realizzato nelle società industriali definite avanzate , si aggiunge ora, sul terreno già ben spianato dalle tecnologie dei mass-media, la globalizzazione,
dell'economia. Il che significa, grosso modo, riduzione o totale eliminazione delle barriere commerciali tra gli Stati, e la liberalizzazione del mercato dei capitali, vale a dire la possibilità, per essi, di trasferirsi dove trovano una remunerazione più alta, con la conseguenza che non è più possibile parlare di industrie nazionali, cioè di industrie i cui processi avvengono in singoli paesi. Con gli effetti che possiamo immaginare, soprattutto in presenza di una politica che stenta a gestire il fenomeno, a mantenerlo entro i limiti dell'equilibrio. Per non permettere lo scardinamento o l'azzeramento di conquiste sociali raggiunte nel secolo scorso. Per non permettere la subordinazione dei valori della politica al potere dell'economia. E per non dimenticare che il "villaggio globale" è costituito anche da ampie zone nelle quali dominano incontrastati sottosviluppo, malattie, miseria, fame e morte endemica. Altra causa contemporanea di crisi, abbinata all’appena citata, è fornita dallo sviluppo mastodontico della tecnologia. Essa si è infatti mutata da " mezzo - come scrive il filosofo Umberto Galimberti - da strumento frutto di scienza a servizio dell'uomo in finalità assoluta, in Demiurgo che ha trasformato la Realtà dei fini in Realtà dei mezzi, cioè in una Realtà della quale l'uomo diventa funzionario ". Così - sostiene Emanuele Severino,un altro filosofo - la tecnica "sta portandosi al centro e alla guida della nostra civiltà occidentale perché le grandi forze di pensiero e di vita della tradizione occidentale vanno ritirandosi ai margini. Si tratta di un evento decisivo e tipico della nostra epoca...". Tanto decisivo da far andare in frantumi, progressivamente, valori che avevano al proprio centro la cultura dell'uomo, per sostituirli con i cosiddetti valori "reali" del senso comune e dell'uomo della strada: carriera, reddito, vacanze, minuti piaceri della vita quotidiana, tivù, partecipazione al sistema della pubblicità delle merci. E' sempre Severino a teorizzarlo.
In simile processo di mutazione, si perde il significato stesso di consapevolezza di sé nel mondo, e viene cancellato qualsiasi imperativo non corrispondente a una morale degli strumenti, perché a dettare i princìpi dell'azione non sono più gli uomini, ma le cose. La poesia sta oggi dentro a tutto ciò, ma come luogo della libertà, nel quale convergono voce e valori umani di quell'essere che definiamo persona e poeta. Persona,cioè "non oggetto...essa anzi è proprio ciò che in ogni uomo non può essere trattato come un oggetto.... La persona è un'attività vissuta come autocreazione, comunicazione, adesione, che si coglie e si conosce nel suo atto, come movimento di personalizzazione..." . Lo affermava il filosofo Emmanuel Mounier, per vari aspetti ancora attuale, da leggere.
II poeta è persona naturalmente destinata a essere memoria sensibilmente vissuta di un vasto ventaglio di esperienze esistenziali, storiche e civili. Una memoria frutto d'armonia o disarmonia con le realtà del mondo, trasferita in un particolare modo di comunicazione retto da una parola nella quale il tempo risuona con profondità.
A differenza di tutti i metodi di comunicazione individuale e di massa, la poesia è in grado di conservare al patrimonio culturale degli uomini la parte più segreta delle cose, degli eventi, delia storia. La poesia è vedere, sentire , pensare senza fini strumentali. E' solo umanità. Essa libera dai meccanismi tesi al potere e al suo esercizio. E' parola ricercata per il suo lume , e perciò al margine, è domina-ancilla che nel suo implicito fine fonde l'aristocraticità della solitudine e l'alta democrazia del suo desiderio di umane conquiste. E' questo l'immutabile destino della Parola-poesia, dentro la storia che muta e le lingue che si trasformano, dentro le crisi che nel nome dell'uomo essa evidenzia.



da www.globalocale.net