Senadin Musabegović Bosnia Erzegovina serbocroato Senadin Musabegovic è nato nel 1970 a Sarajevo, dove vive.
Durante l’assedio della città (1992-1995), ha combattuto nelle file dell’esercito bosniaco e ha cominciato a scrivere saggi, poesie e racconti.
Dopo la guerra è arrivato a Siena, in Italia, dove ha finito gli studi presso la locale Facoltà di Lettere e Filosofia.
Ha pubblicato nel 1995 il primo libro, "Udarci tijela". La sua seconda opera, "Odrastanje domovine", è del 1999. Con quest’ultimo libro, considerato il migliore pubblicato in tutto il Paese nel 1999, ha vinto il premio dall’Associazione degli scrittori della Bosnia Herzegovina. L’opera è stata tradotta in Francia col titolo "Grandissement de la patrie".
Il suo terzo libro, "Rajska lopata", è del 2004.
Oggi insegna presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Sarajevo e presso l’Università Dzemal Bijedic di Mostar.
Per Infinito edizioni ha pubblicato "La polvere sui guanti del chirurgo" (2007).
Tenersi in vita e scrivere
Spuntava di nuovo la guerra in Europa, negli anni Novanta, e toccava alla Jugoslavia diventare ex, uscire dalla storia in frantumi. Di quella guerra il lato atroce fu il domestico: non si doveva andare a combattere verso un remoto fronte, la prima linea era davanti casa, le trincee scavate nella vigna e sulla collina dirimpetto. L’atroce era conoscere per cognome e nome il nemico, cresciuto nella stessa scuola, nella squadra di calcio, corteggiando la domenica le stesse ragazze.
Altri dettagli di guerra sono uguali ovunque: corpi, odori, mosche, topi. “E sarà sparso il loro sangue a polvere”, scrive il remoto profeta Tzefanià a riassunto generale dell’unico progetto delle guerre: ammazzare e basta.
Senadin Musabegović è nome bosniaco di origine musulmana. Per un terzo di decennio ‘90 fu un’aggravante. Apparteneva al meno armato degli eserciti in campo. Si tenne insieme con i lutti e non con le vittorie. I corpi dei caduti alzavano barricate in cuore e nella volontà. I musulmani di Bosnia si sono battuti insieme ai morti, con la stessa certezza di non poter retrocedere.
Com’è giusto che sia dentro una guerra, come dentro un assedio o in prigionia, si scrivono poesie. Manca tempo per darsi ai lenti capitoli della prosa, non c’è carta né lume sufficiente. Solo la poesia corrisponde all’emergenza, sta alla pari con il casaccio di armi e di esplosioni. Sono state la colonna sonora del 1900 e la rosa, parola universale dei poeti, è stata quella disegnata sull’asfalto dall’impatto di una granata.
La gioventù di Senadin Musabegović si è applicata alla guerra e alla poesia. Si può dire che è stata dedicata. Conosco dei giovani ammalati d’inerzia civile che l’invidierebbero. Come lui invidiava i giovani d’Europa che la passavano liscia. La gioventù desidera trovarsi in un altrove ed essere messa alla prova. Quella di Senadin Musabegović è stata di restare vivo e buttare giù versi in lingua slava, ben adatta e benedetta dalla poesia. I due risultati, tenersi in vita e scrivere, sono eccellenti, perché cuciti insieme. Qui c’è il filo di sutura non sterilizzata. E la mano inguantata del chirurgo è impolverata a sangue.
Erri De Luca
Aprile 2007
Prefazione al libro
Senadin Musabegović: La polvere sui guanti del chirurgo
Infinito Edizioni, 2007.