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04/04/2011

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Leggi e ascolta i testi dell'autore

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Gabriella Sica Italia italiano Gabriella Sica è nata a Viterbo e vive a Roma dall'età di dieci anni. Ha compiuto i suoi studi a Roma, dove attualmente insegna letteratura italiana all'università "La Sapienza".
Inizia a pubblicare i suoi testi poetici sulla rivista «Prato pagano» nel 1980 e su l'«Almanacco dello specchio» nel 1983. Nel 1986 pubblica il suo primo libro di poesie, dal titolo La famosa vita. Il suo libro Poesie familiari (Fazi Editore, 2001), riceve il Premio Internazionale di Poesia Camaiore.
A partire dagli anni '80 inizia a svolgere un'intensa attività nell'ambito della poesia contemporanea, aggregando attorno alla rivista «Prato pagano», che dirigerà dal 1980 al 1987, molti poeti della cosiddetta "generazione dell'80" (detta anche della "parola ritrovata"). Lei stessa racconta, nell'introduzione a un libro di Flavia Giacomozzi, Campo di battaglia. Poeti a Roma negli anni ottanta (antologia di «Prato pagano» e «Braci»), come in quegli anni ci sia stata «una postura morale acquisita dai poeti giovani, l'aggiunta di un supplemento di interiorità che rappresentò un modo per ristabilire l'autenticità e la credibilità del fare poesia».
Ha curato antologie poetiche (La parola ritrovata. Ultime tendenze della poesia italiana, Marsilio, 1995) e scritto saggi Scrivere in versi. Metrica e poesia (Pratiche 1996; nuova edizione aggiornata e ampliata, il Saggiatore 2003). Ha realizzato inoltre sei video sui grandi poeti del Novecento (Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Umberto Saba, Sandro Penna e Giorgio Caproni), i cui primi tre sono stati pubblicati in videocassetta da Einaudi (2000 e 2001).
Le poesie di Gabriella Sica, apprezzate fin dall'inizio da Elsa Morante, Attilio Bertolucci e Giovanni Raboni, sono state tradotte in francese, inglese, rumeno e, in particolare, in spagnolo (in alcune antologie di poesia italiana e con il volume No sentirás el ruisenor que llora).
Ha preso parte all'edizione del 2010 degli Incontri internazionali di poesia di Sarajevo.
Opere

In versi

* La famosa vita (Quaderni di Prato pagano, 1986, Premio Brutium-Poesia)
* Vicolo del Bologna (Pegaso, 1992, finalista Premio San Pellegrino)
* Poesie bambine (Milano, La Vita Felice, 1997)
* Poesie familiari (Roma, Fazi, 2001, Premio Camaiore, finalista Premio Metauro e Premio Frascati)
* Le lacrime delle cose (Milano, Moretti & Vitali, 2009)

In prosa

* Scuola di ballo (Rotundo, 1988, Premio Lerici-Golfo dei poeti)
* È nato un bimbo (Milano, Oscar Mondadori,1990)
* La parola ritrovata - Ultime tendenze della poesia italiana (a cura di Gabriella Sica e Maria Ida Gaeta, Marsilio, 1995)
* Scrivere in versi - Metrica e poesia (Pratiche, 1996, ora in una edizione aggiornata e ampliata, Milano, Il Saggiatore, 2003)
* Sia dato credito all'invisibile - Prose e saggi (Marsilio, 2000)
* Introduzione a Campo di battaglia. Poesia a Roma negli anni ottanta di Flavia Giacomozzi (Castelvecchi, 2005)

In video

* Giuseppe Ungaretti. Vita d'un uomo (Rai Educational-Einaudi, 2000)
* Eugenio Montale (Rai Educational-Einaudi, 2000)
* Pier Paolo Pasolini poeta (Rai Educational-Einaudi, 2001)
* Umberto Saba. Il Canzoniere (Rai Educational)
* Giorgio Caproni. Il seme del piangere (Rai Educational)
* Sandro Penna. Croce e delizia (Rai Educational)

Le lacrime delle cose di Gabriella Sica
Intervista all'autrice

di Roberto Russo

Ho letto con piacere Le lacrime delle cose, raccolta di poesie di Gabriella Sica pubblicata pochi mesi fa dall’editrice Moretti & Vitali. Lacrime di dolore di cose, uomini e donne, animali ma anche lacrime che il dolore lo leniscono perché, con il tocco sapiente della parola poetica, riconciliano l’uomo con se stesso, con gli animali, con le cose. Come dice l’autrice: Le lacrime scorrono come scorre la nostra vita. È qualcosa di oggettivo, non personale, qualcosa che appartiene alle cose, quelle che appaiono già nel titolo.
Il libro ha vinto il Premio Garessio-Ricci 2009 e il Premio Dessì 2009. Tra un premio e l’altro siamo riusciti a scambiare due parole con l’autrice, Gabriella Sica, che ringraziamo per la disponibilità. Ecco l’intervista per gli amici di Booksblog.

Le lacrime delle cose è l’ultima di una serie di opere (quattro in poesia, due in prosa e due saggistiche) che mostrano una ricca ispirazione, ampia e frastagliata. Come nasce questa raccolta di versi e come si inserisce nel suo percorso poetico?

Guardando il mio libro dall’esterno mi accorgo che non c’è un centro né un tema unico. Una struttura stellare, qualcuno ha osservato. Le poesie sono arbusti di una stessa fascina, come le oche trafitte o macellate, i bambini uccisi a Beslan, le famiglie separate, gli amici e i poeti scomparsi, o sono tizzoni che emergono dal fuoco in cui hanno bruciato, come le torri gemelle, sono relitti del tempo passato, reliquie, come sempre è la poesia. Quando scrivo penso a una presenza e a un luogo. E quando la poesia è scritta, immancabilmente è una poesia dell’assenza e dell’invisibile, di quello che ci è stato tolto o di quello che manca o di quello che è nascosto e sepolto. La poesia è sempre un porto sepolto.

Nel suo libro si parla di varie sofferenze, sue personali e anche di eventi più generali: la scrittura in versi, dunque, come terapia per guarire?

Le lacrime scorrono come scorre la nostra vita. È qualcosa di oggettivo, non personale, qualcosa che appartiene alle cose, quelle che appaiono già nel titolo. Non mi piace l’io, spero piuttosto che ci sia l’oggetto, qualcosa di non retorico o evanescente. In questa oggettività soltanto intravedo una possibilità di salvezza più che una terapia o una guarigione. La poesia rinnova proprio una tradizione di salvezza, nonostante tutto. E fa prove di avvicinamento a una centralità erosa e ormai volatilizzata.

Su cosa si basa il suo multiforme linguaggio poetico?

Varietà tematica e varietà metrica: se intende dire questo, sì, è vero c’è una certa varietà. Le poesie di questo mio libro hanno ognuna un tema diverso, e ognuna una sua forma metrica, con ampie escursioni che vanno dal distico o dall’haiku al poemetto e perfino alla prosa in versi, così come ognuna comprende la suggestione di un poeta letto, un’idea, un moto dell’anima, perfino una semplice parola, a partire dalla quale ho iniziato il mio piccolo cammino. Ogni poesia è sempre un piccolo cammino. La compattezza di un libro non per forza è data da un tema, può anche essere soltanto il tono. Ai toni dedico infatti una mia poesia, i toni dei sentimenti e i toni delle parole con la loro musica peculiare. È il tono che specifica un poeta, il tono di Leopardi o di Caproni, toni indimenticabili e unici, inconfondibili.

La sua poesia appare semplice al primo impatto, anche se evidente risultato di un lavoro ben più complesso.

Ho un sogno: quello di una poesia chiara e sapiente, semplice, quasi popolare, e tuttavia pregnante di una tradizione. La poesia italiana è sempre stata una delle più grandi al mondo. Non si può buttare a mare tutto. Non si può scrivere, io penso, senza tener conto di quello che è stato scritto, per ricordarlo e reinventarlo, rilanciarlo verso il futuro. D’altronde è un fenomeno del secolo scorso quello di una poesia oscura, ermetica e dunque nobile, comprensibile solo agli iniziati. Un fenomeno e anche un equivoco che si è prolungato a lungo. Giustamente la Szymborska ha parlato (e praticato) la necessità di un superamento della frattura tra “il poeta e la grande famiglia umana”. Perché da troppo tempo i lettori si sono allontanati dalla poesia, si sono abituati a un’assenza che è anche una povertà.

Roma è ben presente nella raccolta di poesie: come vive la poesia della Città Eterna?

Una poesia che si cimenta comunque con la poetica delle macerie e delle rovine stratificate, inevitabile per chi come me è cresciuto e si è formato a Roma. Questo sentimento delle macerie l’ho provato acutamente alla fine degli anni Settanta, dopo un decennio dissestato e una poesia ideologica che ne era il corrispettivo analogo, almeno come sentimento generale, quando ho cominciato a pubblicare le mie poesie: dunque poesie come sfida alle macerie e scommessa personale di fiducia e rinascita. E sono tornata a provarlo quel sentimento delle macerie con la stessa acutezza all’inizio di questo decennio, contrassegnato dal crollo delle Torri e dallo sconquassato mondo globale. C’è inoltre il ricordo di una Roma aperta, vivissima e ricca di energie, abitata da poeti che non ci sono più, da Amelia Rosselli a Dario Bellezza, da Beppe Salvia a Paolo Prestigiacomo, da Pietro Tripodo a Giovanna Sicari, figure amiche e poeti andati via troppo presto. La Roma di oggi sembra una somma di solitudini, di case dove le famiglie sono sparpagliate, dove si respira ostilità e non c’è traccia di comunità. Tuttavia Roma è sempre una città bellissima e clemente. E Roma non è Beslan è il titolo di una poesia. Sopravvive tra i miei versi la Roma dei bar che amo e che sono per me oasi insostituibili e riparate di felicità, una pausa al camminare della giornata, una sosta dove leggere, guardare le persone che camminano, incontrare qualcuno. C’è una luce a Roma più vibrante e luminosa che in qualsiasi altro luogo.

Quale significato possiamo dare alle oche bianche di Villa Borghese?

Sì, a Roma, ci sono persone e animali: gli storni alla stazione Termini, che sono nel titolo di una poesia, o le oche dei laghetti nelle ville. Le oche sono bambine ancora candide, sono angeli inattesi, sono esseri dolenti e un po’ creduloni, come siamo tutti noi davanti alla vita, destinati al sacrificio. Sono un po’ le sorelle dell’agnello sacrificale, figlie innocenti di Dio. E sono anche uno squarcio di candore struggente e di luce.

Vorrebbe dare qualche consiglio ai “poeti in erba” che potrebbero leggere quest’intervista?

Per cominciare, leggere e leggere. Poesia e anche molta prosa. La poesia nasce dall’intreccio misterioso della vita sperimentata o immaginata e della vita letta. E poi non aspettarsi molto da niente e da nessuno. Se sarà davvero necessaria, la poesia fiorirà, proprio come un fiore alla cui nascita ha concorso la natura e la sapienza divina, l’esperienza e la tecnica. E la poesia chiede molto, è la scommessa di una vita, e non ripaga certo direttamente. Non ha alcuna funzione sociale o mercantile la poesia oggi, come del resto sempre. E i poeti sono “improtetti”, per usare un termine di Amelia Rosselli. Però hanno la rete, con le sue possibilità illimitate, la sua velocità ancora sorprendente, una palestra a volte forse ingombra ma ottima per provarsi. Anche se non ha affatto sostituito, bisogna dirlo a distanza di quasi vent’anni dal suo esordio, il libro, e tantomeno il libro di poesia, che resiste, nonostante tutto. E poi ogni generazione, ogni poeta ha la sua responsabilità. Ogni poesia è un tentativo di uscire a proprio modo dallo stallo e dalla miseria del proprio tempo.


Gabriella Sica
Le lacrime delle cose
Postfazione di Paolo Lagazzi
Moretti & Vitali, Roma 2009

in Blogo.it