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04/04/2011

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L’esilio dei greci del Nuovo Mondo
09/09/1996 Guido Piccoli Il Mattino

Il sorriso contagioso sembra stampato sulla sua faccia scura di indio. Eppure Victor Montejo sa di avere una responsabilità pesante come una montagna. Insieme a pochissimi altri scrittori e sognatori, tenta di far sopravvivere la cultura dei mitici Maya, il suo popolo. Coloro che furono definiti e «i greci del Nuovo Mondo», per la raffinatezza della loro arte e dei loro monumenti e per le straordinarie scoperte matematiche ed astronomiche, stano malinconicamente perdendo identità e memoria. I Maya sono ancora tanti, sei milioni di uomini e donne dispersi tra il Messico, il Guatemala ed il Belize, ma poco o niente possono fare contro le politiche di «integrazione forzata» dei governi centroamericani, attuate negli ultimi decenni insieme alle più brutali strategie di sterminio fisico. Quando i criminali reparti antiguerriglia guatemaltechi, chiamati «kaibiles», irrompevano nei villaggi degli altipiani occidentali, dove viveva Montejo, ammazzavano scrupolosamente maestri ed anziani e distruggevano i telai, coi quali le donne tessevano gli antichi disegni simbolici. Evidentemente qualcuno, più in alto di loro, aveva ordinato di estirpare come erbacce le loro secolari radici. Attenuata, negli ultimi anni, la furia omicida dei militari, a far terra bruciata della cultura india è arrivata «la modernità», prima di tutto la televisione. «Quand’ero bambino ero sempre attaccato alle vesti di mia madre per sentire e risentire le favole ed i racconti che si tramandano da secoli. Adesso i bambini si annoiano, preferiscono vedere i cartoni animati alla TV» dice il quarantenne di origine maja-yakaltek. È per questo che Victor Montejo, che insegna antropologia nell’università del Montana, negli Stati Uniti (dove si è rifugiato dal 1982, per sfuggire ad una «pulizia etnica» che non ha commosso nessun governo occidentale) ha trascritto una raccolta di favole, dotando il suo popolo di una piccola arma di difesa contro l’estinzione culturale. Un libro quindi, ma soprattutto uno strumento originale per un popolo che ha tramandato nei secoli quasi esclusivamente la tradizione orale. L’uccello che pulisce il mondo e altre favole maya, pubblicato in Italia dalla casa editrice salernitana Multimedia, raccoglie una trentina di racconti popolari, insieme semplici e saggi, divertenti e seri. Gli animali che abitano le favole maya non sono le infantili parodie umane di Disney, ma i veri protagonisti della realtà maya, dove si confondono eventi naturali e sovrannaturali e convivono e si rispettano uomini e bestie. Ad esempio, gli indigeni che non hanno né fogne, né discariche, hanno sempre apprezzato la poiana, l’utile «uccello che pulisce il mondo», mentre i soldati che pattugliano le loro terre la usano per esercitarsi al tiro a segno, giudicandola solo un uccellaccio del malaugurio. Dei Maya non è rimasto nient’altro che un mito, il sacro libro del «Popol Vuh» ed alcune testimonianze dei cronisti della Conquista spagnola. Il libro di Victor Montejo può servire ai popoli maya a non dimenticare e a noi ad aiutarci a non affogare nello stagno di una spaventosa uniformità culturale. Guido Piccoli