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04/04/2011
Il ritmo dell'autenticità
Luciano Morandini Il Nuovo Friuli

"Qualcuno ha suonato", Multimedia Edizioni, aprile 2001- traduzione e cura di Sinan Gudžević e Raffaella Marzano, memoria introduttiva di Erri De Luca, postfazione di Sinan Gudzevic - è l’ultimo libro di Izet Sarajlić che ci raggiunge nella nostra lingua. L’amico poeta, bosniaco di Doboj, vissuto fino all’ultimo a Sarajevo, testimone del martirio della città, è infatti scomparso nei primi giorni di maggio del 2002. Leggere le sue poesie, una scelta che va dal 1948 al 2001, è stato per me risentirne la voce, rivedere dietro le lenti quegli occhi profondi accompagnare cangianti, espressivi, le sue parole o risentirne le risate in qualche gostionica di quel luogo, anni Settanta, anima d’incontri internazionali, quando la sua multietnicità era ragione di grande civiltà, d’incrocio di culture, non di dramma fratricida. “ E’ già da trenta ore/ che le granate/ piovono su di noi da ogni parte.// Una di queste/ ha appena sorvolato/ la mia poesia.//E’ stata tirata dal Mrkovici/ dove prima della guerra raccoglievo margherite// con la donna che amo”. (Una granata tirata dal Mrkovici, 1992). Nell’aprile’70, ricordo, le giornate erano piene di sole, a volare erano poesie del mondo a Sarajevo, i cittadini si affollavano ad ascoltare. Era tutto un darsi la mano, un salutarsi, un chiamarsi a vicenda, un bere assieme. “ Che cosa ci è successo tutt’a un tratto/ amici? // Non so/ cosa fate.// Cosa scrivete.// Con chi bevete.// Quali libri leggete.// Non so più neanche/ se siamo amici.”(Agli amici della ex Yugoslavia, 1992). Izet Sarajlić: il comunista critico tenuto all’angolo da meschine burocrazie, il poeta dell’amicizia- varie poesie sono nel libro dedicate ad amici anche italiani- l’agnostico musulmano nemico d’ogni contrapposizione etnica o di confessione religiosa, l’uomo che ha identificato nella libertà della poesia tutto, ogni atto della vita, che con essa a suo tempo ha indicato alla jugoslava le vie del rinnovamento, l’autore di quell’area più tradotto, uno dei più amati dai giovani.” Le sue poesie - scrive Gudžević - venivano pubblicate nei manuali e nei diari, i giovani facevano la corte alle ragazze recitando i suoi versi. Lui è uno dei rari poeti jugoslavi che ha raggiunto ancora in vita la grande fama letteraria”. Sulla sua vita sono passate con i loro cingoli due guerre: nella prima il poeta ha perduto Eso, l’amato fratello maggiore, partigiano, fucilato nel Quarantadue dai fascisti italiani. Nella seconda, intestina, le due sorelle, Nina e Razija, “uccise dagli stenti” e a guerra finita, sempre per quelle conseguenze, la moglie Ida Kalas. Quelle di Esenin / si chiamavano Shura e Katia.// Quelle di Majakowskij/ Ludimilla e Olia.// Le mie/ Nina e Raza. // E tutte sono morte (...) Devo cercare da qualche parte/ una nuova sorella.// Perché io non posso / non essere fratello. ( Sorelle, 1993 ). Come avremmo potuto invecchiare magnificamente / tu ed io / senza questa follia slavomeridionale. // Ed invece / di tutta la nostra vita / sono rimasti solo / i nostri incontri d’amore al cimitero del Leone. // Voglio dirti / quando sono più felice in questa mia infelicità: quando al cimitero mi coglie la pioggia. // Mi piace da morire / inzupparmi insieme a te ! ( I nostri incontri d’amore al “Leone”, 1998 ). In Qualcuno ha suonato troviamo uno spècimen di tutta la poesia di Izet. Essa ha a che fare con la vita quotidiana, la rende ricca e l’illumina. È lì che nasce e si sviluppa. La fanno sbocciare ricordi, personaggi, libri, persone amate, scintille dell’amore, volti, vie, storia lontana rivissuta, metafisicità che l’intrighi. Sempre con una lingua parlata e un’espressione quasi prosastica. “Le parole di Izet non significano null’altro che se stesse. In un certo senso i versi di Izet diventano un’emancipazione della realtà nella poetica. Questa realizzazione e la concretizzazione materiale della lingua rendono i suoi versi comunicativi, comprensibili e semplici. Questa semplicità rende le poesie più facilmente memorizzabili e indimenticabili. Una volta lette, non si dimenticano più. Esse ricompaiono all’improvviso, a tavola, al volante, in cucina, in bettola...”.(S. Gudžević). E tutte risuonano del ritmo alto dell’autenticità con le quali Izet ha abbracciato il mondo, nonostante tutto. Tranne la morte / a me è già capitato tutto / // Posso visitare ancora qualche paese, / posso farmi ancora qualche amico, / posso ( perché no ? ) guadagnare qualche medaglia d’onore / (sarebbe la prima volta nella mia vita) / ma / tutto sommato / tranne la morte / a me è già capitato tutto. // Il non ferire andandomene / quelli che amo e che mi amano / è l’unica cosa / che mi lega ancora a questa vita. (Tranne la morte, 1987-1989). Luciano Morandini