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04/04/2011

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Vigilia di restare Nelle sue poesie i miei occhi hanno raccolto schegge di luce che mi hanno portato lungo rotte e sentieri così carichi di nuvole misteriose e avvolgenti da farmi capire che Juan Vicente Piqueras è poeta alto. (Tonino Guerra)
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Vigilia di restare 2017 978–88–86203–81–4 216 Poesia come pane Casa della poesia Raffaella Marzano
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Sono colui che sa la data della propria morte. Solo chi non muore mai sa la data della sua morte. L’essere. L’essere ingenerato e immortale: il poeta. O la poesia? L’essere, il continuo verbo coniugato al presente, l’io sono che si ripete incessante è, allora, più del verbo stesso, la dimensione di un’essenza nel suo titolo o principio più esteso e inquieto: il restare. L’essere in un luogo che è. Con tutte le implicazioni a esso connesse, prima tra tutte, la filosofia. La poesia la incrocia nella dimensione della sapienza interrogante e nella consapevolezza o vanità di ogni cosa. Di un’immagine o luogo. Nell’imprecisione degli avverbi. Nel miraggio di un’infattibile salvezza. Nella dimora angusta e barrata delle parole. Nei paradossi della vita e nelle imboscate del senso. Nelle meraviglie delle attese. O nella nostalgia degli specchi, luoghi di erranza, di doppi inesistenti. Siamo sulla cinta di un’eco o del nulla. Si vede solo ciò che si è o ciò che si è detto. Poesia dell’essere e dell’esistenza quella di Juan Vicente Piqueras. Siamo al cospetto di un poeta alto come dice, semplicemente, Tonino Guerra. Ovvero, di una voce errante e beduina come riporta Carlos Edmundo de Ory, in cerca della rotta del ritorno. E ancora, questa volta è Sepulveda a svelare, di un poeta del quale si nutre e di cui fa ricorso quando si accinge a scrivere, una visione fresca, generosa della vita e uno spiccato senso dello humor. Questi sono soltanto alcuni degli apprezzamenti che si possono leggere in Vigilia di Restare, Multimedia Edizioni, splendido libro, curato e tradotto da Raffaela Marzano con un’acuta e intensa introduzione di Sabrina Foschini. Le poesie pubblicate in questo volume sono tratte da La latitud de los caballos, Adverbios de lugar, Palmeras, Aldea, La hora de irse, Yo que tú, Atenas, Padre. Sono aggiunte, inoltre, anche diciotto poesie inedite. Poesia essente, esistenziale si diceva, e assente. Nessuno non è solo uno dei tanti nomi di Ulisse, ma una volontà di sparizione, di sottrazione all’usanza verticale dell’aggiungere. Una tensione alla perdita. Guadagna con quel che perde. È ancora la vita. E, daccapo, la poesia. Una poesia piena, precisa e leggera. Una nuvola indecifrabile. Una sete e una seta avvolgente. Dispersa nel mondo e sempre agli antipodi degli addii. Un deserto. Un mendicante. Un morire nel passato. Un niente di nuovo e sempre il mare. Un attracco e di nuovo un’attesa. Una poesia che dà i suoi stessi e semplici strumenti, … il vento inventato: la timida tormenta di un respiro e le parole, macchie di voce sulla carta, fari in mezzo all’oceano. Oppure temibili, … le vele dei verbi, la memoria e questa volta che è nave, nido, madre nel cui seno dormono la matita e la carta, il paese affondato e l’inchiostro che è sangue di animali marini. Juan Vicente Piqueras è nato a Los Duques de Requena, come racconta lui stesso, un paesino di un centinaio di abitanti e con un solo telefono. È una delle voci più belle, intense e vivaci della poesia spagnola. Un poeta che canta alla luce, rendendo grazie al cielo per tutto senza saperlo. Un’ultima nota. Juan Vicente Piqueras e il dolore. Nascosto tra le parole e una realtà che non ha nome. Un intruso come la fine. Mia madre ci amava con le sue mani e mio padre ci traduceva il cielo. Così è stato. Una poesia breve. Forse, una delle più belle del panorama contemporaneo. Che assurda storia ultimare una recensione di un poeta. Ci si sente a pezzi e vuoti di non aver colto che il niente e l’inessenziale. Nella poesia è sempre così. Scrivere dei poeti è come un’affezione. Scrivere di Piqueras o, leggere le sue poesie, invece, è senza dubbio, una cura. Salvatore Marrazzo