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04/04/2011

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Roberto Carifi Italia italiano Roberto Carifi nasce a Pistoia l'11 settembre 1948 da Licia Brunetti e Benito Carifi, in via dell'Ospizio, all'attuale numero 40, nella casa dello zio Luciano, fratello della madre.
Questa è maestra elementare, mentre il padre, figlio di un sarto d'origine partenopee molto apprezzato in città, lascia la famiglia quando il piccolo ha tre anni per trasferirsi a Roma, dove, prima di trovare definitivo lavoro come arredatore cinematografico, si adatterà ad interpretare vari ruoli di comparsa in film di carattere storico.
L'abbandono della famiglia da parte del padre ed il risentimento della madre avranno risvolti sul carattere del giovane Roberto che proverà sempre un grande attaccamento alla figura materna, mentre nutrirà un contrastante sentimento do amore-odio per la figura del padre. Il tema dell'abbandono sarà tra quelli ricorrenti del futuro poeta. In questo senso vale anche per la figura paterna quello che varrà molti anni dopo per la scomparsa dell'amata madre: "anche se vecchio l'orfano / ha un pianto di bambino".
Dai sei agli otto anni è con la madre a Cireglio, dove questa si è dovuta trasferire per l'insegnamento.
Gli ultimi due anni delle scuole elementari Roberto la frequenta a Pistoia, alle 'Stinche'.
La madre ha infatti preso casa in affitto in Corso Gramsci, all'angolo di via dell'Ospizio, dove resterà sino ai primi anni Ottanta, allorché si trasferirà col figlio in via Fiorentina, al numero 6, sulla discesa del Ponte dell'Arca, direzione Firenze.
Sul finire delle scuole medie Roberto è colpito da una grave forma di labirintite, con febbre altissima; è a rischio di vita, tanto che viene chiamato un sacerdote per l'estrema unzione. Il padre, avvertito, fa una breve apparizione al capezzale del figlio, la prima delle uniche due dopo il suo abbandono della famiglia. Al ragazzo resterà della figura del padre l'immagine di una persona fredda.
Nel 1962 Roberto frequenta in Corso Gramsci la prima classe del Ginnasio. A quel periodo risalgono le sue prime, ed ancore acerbe, composizioni poetiche.
Alla fine della seconda classe del Ginnasio, pur avendo dimostrato particolare predisposizione per le materie letterarie, dovrà ripetere l'anno scolastico, così come la prima liceale, a causa della sua indisciplina, che si riflette anche sul profitto e dovuta all'insofferenza verso ogni autorità, comprensibile transfert psicologico del sentimento verso il padre assente. Al Liceo Classico avrà come insegnante di Italiano, il professor Vasco Gaiffi, che riuscirà a fargli amare la letteratura. Gli anni '60 sono anni di grande fervore nel mondo giovanile anche al di fuori dell'ambito scolastico. Il 1966, sulla scia dell'entusiasmo verso i fenomeni musicali provenienti dall'Inghilterra, i Beatles e i Rolling Stones, Roberto, che predilige questi ultimi, entra come voce solista nel complesso cittadino dei "Diplomati" che si esibirà con successo nei locali di Pistoia e provincia. Formerà successivamente con altri amici il complesso musicale degli "Ham and Figs" dove, rispetto alla componente blues prevarrà lo stile rock. Ma sono anche gli anni dei primi impegni. Il novembre 1966 lo vede partecipare attivamente a Firenze, assieme a migliaia di studenti, alle operazioni di ricupero librario nel fango della disastrosa alluvione. È in occasione del conseguimento del diploma liceale che suo padre si farà vivo per la seconda e ultima volta. Gli porterà in dono un'auto fiammante che il figlio rifiuterà con sdegno: non era più il tempo per ritrovare "un padre / mille volte invisibile". Nel '68 s'iscrive alla Facoltà di Filosofia dell'Università di Firenze. Sarà attratto in particolare dal pensiero filosofico di Nietzsche e Heidegger. Il maggio dello stesso anno lo vede partecipare attivamente alla contestazione studentesca nelle frangie anarchiche. Nel 1972 si laurea con 110 e lode con la tesi Essere e apparenza in Jean-Jacques Rousseau, discussa col professor Paolo Rossi. Dopo la laurea resta in Facoltà come addetto alle 'esercitazioni', coadiuvando il professor Rossi nelle lezioni.
Verso la fine del 1974, e per tre anni, si reca a più riprese a Parigi per seguire all'École Freudienne le lezioni del filosofo psicanalista francese Jacques Lacan. Sensibile all'influenza del pensiero heideggeriano, Lacan, principale rappresentante del neofreudismo, sottolinea la necessità di analizzare i meccanismo che regolano l'attività psichica attraverso lo studio della parola e del linguaggio, concepito quest'ultimo addirittura come costitutivo dell'inconscio. Lacan, metodologicamente, eviterà di esprimersi con evidenza prosaica per usare una terminologia oscura e labirintica, metodo che influenzerà, anche per questa via, le future composizioni poetiche di Carifi. Anche lo studio del pensiero di Gilles Deleuze che, nel rivendicare infinite articolazioni della scrittura, prospetta una dissoluzione della stessa testualità, influenzerà il maturante stile poetico di Carifi, di cui è testimonianza la sua prima raccolta Simulacri (Forum) del 1979.
Nel 1978 prosegue in Italia, a Milano, lo studio della psicanalisi, per aprire poi l'anno successivo a Pistoia nell'abitazione di via Fiorentina il proprio studio di psicanalista. Nel contempo svolge insegnamento di Lettere come supplente in vari istituti superiori di Pistoia. Dopo un anno abbandona l'attività di psicanalista per la sopravvenuta sfiducia nella psicanalisi quale idoneo strumento per comprendere e risolvere nella sua interezza il disagio psichico del paziente.
Sentimentalmente non stabilirà mai legami duraturi anche se le presenze femminili nella sua vita saranno una costante.
Nel 1982 conosce il poeta Piero Bigongiari, uno dei maggiori esponenti dell'ermetismo fiorentino, che influenzerà in parte la sua poetica. Si lega inoltre d'amicizia con i poeti Giuseppe Conte, Roberto Mussapi, Cesare Viviani, Tommaso Kemeny e Rosita Cipioli.
Al 1984 risale la sua seconda raccolta di poesie, Infanzia (Società di Poesia) e la raccolta di aforismi La piaga del nulla (Cesati). Dal 1985, dopo alcuni anni d'insegnamento per interi periodi scolastici nei licei scientifici di Pescia e Montecatini, otterrà la cattedra di Filosofia al liceo "Amedeo d'Aosta" di Pistoia. Nel 1986 pubblica la raccolta poetica Obbedienza (Crocetti) che raccoglie le poesie dell'ultimo triennio e che otterrà molti apprezzamenti nel mondo letterario. Nella sua città è in contatto con i poeti Maura Del Serra e Marco Massimiliano Lenzi e successivamente con i più giovani paolo Fabrizio Iacuzzi e Giacomo Trinci. Nel 1990 pubblica la raccolta poetica Occidente(Crocetti) e il saggio La carità del pensiero (I Quaderni del Battello Ebbro). Lo stesso anno viene in contatto con Alessandro Ceni e Alba Donati. Saranno rilevanti, dal lato filosofico, i contatti con Sergio Givone, Fabrizio Desideri ed Emanuele Severino.
Nel 1993 escono le raccolte Casa nell'ombra (Almanacco dello specchio, Mondadori), Poesie (Crocetti) e i racconti pubblicati sotto il titolo Nome di donna (N.C.E.). I primi anni Novanta sono anche quelli in cui si sviluppa a Pistoia una nuova generazione di poeti, tra cui Roberto Bartoli, Martino Baldi, Massimo Baldi e Piero Buscioni, che con Roberto Carifi presentano una consonanza se non stilistica sicuramente d'accenti e intenti poetici. Del 1994 è il saggio Il segreto e il dono (Egea) e dell'anno seguente Le parole del pensiero (Le Lettere) e la raccolta poetica Il figlio (Jaca Book).
Sono anni di intenso lavoro che lo vedono impegnato anche nelle collaborazioni a mensili e quotidiani, oltre al lavoro redazionale nella prestigiosa rivista "Poesia". Continua incessante anche il suo lavoro di traduzione: Rilke, Trakl, Hesse, Bataille, Flaubert, Racine, Simone Weil, Prévert, Rousseau. Nel 1996 pubblica la raccolta di racconti Victor e la bestia (Via del Vento) e l'anno successivo il saggio Il male e la luce (I Quaderni del Battello Ebbro). Nell'agosto 1997 muore, dopo breve malattia, la madre, con la quale ha vissuto cinquant'anni, lasciando un vuoto che la parola stenta a rappresentare: "Notte, nella quale ti vidi giacere / quando l'estate devastò il suo mare, / quando nel sasso ti dettero un nome / e calò su di te il mio lenzuolo / tessuto di pianto, / ...". Si trasferisce in Via dell'Ospizio al numero 19, a pochi metri dell'abitazione che lo aveva visto nascere, in un'ideale ricongiunzione col selciato dei suoi primi incerti passi, con la primigenia coscienza di sé, con un'antica stagione felice ed ignara.
Dell'estate 1998, ad un anno dalla perdita della madre, è la raccolta Amore d'autunno (Guanda), che si chiude con la sezione Poesie per la madre, bagnata dalla strugente lacerazione che non può rimarginarsi: "tu eri rimasta un minuscolo scialle / franò la mia bocca accanto alla tua, / chiesi se avrai una dimora, / in quale stanza sarà la mia culla".
Il volume avrà grande seguito di critica ed andrà esaurito nel giro di pochi mesi.
Nel 1999 esce la silloge Europa (Jaca Book) e l'anno seguente Amore e destino (Crocetti), Poesia (Papeles Privados, Città del Messico) ed il saggio Nomi del Novecento (Le Lettere).
Nel 2001 esce la raccolta di racconti Lettera sugli angeli (Via del Vento), mentre l'anno sucessivo i pensieri Breviario (Le Lettere) ed il saggio La nuda voce (Edizioni della Meridiana).
Anche il 2003 lo vede fortemente impegnato: usciranno le raccolte poetiche: Il gelo e la rosa (Le Lettere), La pietà e la memoria (E.T.S.) e Le domande di Masao (Jaca Book).
Il 10 settembre 2004, nel pieno della creatività e della progettualità, è colto da ictus. Il primo anno della malattia, costretto ad affrontare la cruda realtà della sua nuova condizione, colpito nel fisico e nello spirito, sballottato per mesi da un ospedale all'altro e sottoposto a continue terapie riabilitative della parola e della motorietà, non tenterà nemmeno di dettare i versi che pure gli urgono. Abbraccia incondizionalmente il pensiero buddista, al quale già si era avvicinato dopo la dolorosa scomparsa della madre. Vede rispecchiata la sua nuova condizione esistenziale nella filosofia dell'Illuminato per la quale vivere è soffrire: questo dolore non nasce solo dal nostro attaccamento alla vita ma anche dall'ostinazione a sopravvivere alla morte ed è solo uccidendo in noi questa ostinazione che possiamo pervenire alla pace interiore, al nirvana, cioè alla liberazione dal dolore. Ai temi dell'abbandono e dell'obbedienza, si affianca dunque, nella recente stagione della sua vita, quello apparentemente più duro eppure straordinariamente consolatorio dell'accettazione. È questa la fase in cui il personaggio aderisce più tragicamente alla sua opera, la fase in cui la parola, già da tempo fortemente provata nell'esprimere l'indicibile della perdita dell'affetto materno, è chiamata ora a tagliare la propria carne con impietose domande, a cercare la ragione di una fisicità non combaciante con l'interiore vitalità di cui quel corpo è crisalide.
Gli amici gli si stringono attorno. Verso la fine del 2005 detta le sue poesie più recenti, mentre nel febbraio 2006 escono i pensieri Ossessione e memoria (Edizioni della Meridiana). Nel 2006 esce per Via del vento la raccolta D'improvviso e altre poesie scelte. Nel febbraio del 2007 è stato invitato ad occuparsi del laboratorio di Poesia all'interno del Master di Scrittura Creativa della Scuola Sagarana.

Ha partecipato a varie edizioni de "Il cammino delle comete" (2001, 2003, 2004, 2005). Nel 2003 è stato invitato a Sarajevo per gli Incontri internazionali di poesia.



Biografia tratta dal sito di Sagarana
www.sagarana.net
Raccolte poetiche

Infanzia (Società di Poesia, Milano 1984);
L’obbedienza (Crocetti, Milano 1986);
Occidente (Crocetti, Milano 1990);
Amore e destino (Crocetti, Milano 1993);
Poesie (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 1993);
Casa nell’ombra (Almanacco Mondadori, Milano 1993);
Il Figlio (Jaka Book, Milano 1985);
Amore d’autunno (Guanda, Parma-Milano 1998);
Europa (Jaka Book, Milano 1999);
Amore e destino (Crocetti 2000);
Poesia (Papeles Privados, Città del Messico 2000);
Il gelo e la rosa (Le Lettere 2003);
La pietà e la memoria (E.T.S. 2003);
Le domande di Masao (Jaca Book 2003;
D'improvviso e altre poesie scelte (Via del vento 2006).


Racconti e pensieri

Lettera sugli angeli (Via del Vento 2001);
Breviario (Le Lettere 2002);
Ossessione e memoria (Edizioni della Meridiana 2006).


Saggi
Il gesto di Callicle (Società di Poesia, Milano 1982);
Il segreto e il dono (EGEA, Milano 1994);
Le parole del pensiero (Le Lettere, Firenze 1995);
Il male e la luce (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 1997);
L’essere e l’abbandono (Il Ramo d’Oro, Firenze 1997);
Nomi del Novecento (Le Lettere, Firenze 2000);
La nuda voce (Edizioni della Meridiana 2002)

E’ inoltre autore di racconti e traduttore, tra l’altro, di Rilke, Trakl, Hesse, Bataille, Flaubert, Racine, Simone Weil, Prévert, Rousseau, Bernardin de Saint-Pierre. Ha collaborato e collabara ai maggiori quotidiani italiani ed è redattore del mensile "Poesia".

INTERVISTA


di Simone Piazzesi


Lei ha insegnato filosofia a scuola, e ha pubblicato anche saggi filosofici. Qual è il rapporto tra filosofia e poesia?

Io tendo sempre a considerare separatamente la filosofia e la poesia però, allo stesso tempo, fra loro c'è una relazione. Dopo un certo tempo, dall'indagine filosofica si passa a quella poetica perché la verità filosofica arriva fino a un certo punto, mentre quella poetica va oltre, è molto più grande di quella filosofica. I due ambiti sono quindi separati e uniti, perché la filosofia ci prepara a quello che ci dirà la poesia ma questa parlerà un linguaggio totalmente diverso.

Si può dire che, in un certo senso, filosofia e poesia portano lo stesso messaggio ma espresso con codici diversi?

Sì, certo, ma senza dimenticare che la filosofia cerca "una" verità, mentre la poesia cerca "la" verità.

La filosofia è ricerca del vero, ha una missione ontologica. Ossia chiamare le cose col loro vero nome, come insegnava Confucio (per dire che il messaggio filosofico è lo stesso a tutte le latitudini). Il mondo di oggi chiama invece le cose con nomi che sembrano essere l'opposto della loro essenza: la guerra è diventata "umanitaria", la democrazia non è più controllata dal popolo ma dalle multinazionali che influenzano le scelte politiche, i diritti civili vengono esportati facendo uso della tortura... questa degenerazione, consapevole e quindi colpevole, del legame tra significante e significato, non pensa che sia uno dei mali maggiori del nostro tempo? A cosa è dovuta, secondo lei? E la poesia può porvi rimedio in qualche modo?

Che sia uno dei mali maggiori del nostro tempo non c'è dubbio, su quali ne siano le cause se ne potrebbe parlare per giorni, e forse ognuno darebbe una propria risposta. Ma di certo la poesia può fare da argine a questa degenerazione, perché coglie le cose nella loro essenza, nel loro "esser così". La poesia smaschera la realtà dall'uso distorto e pretestuoso che ne viene fatto, la ripulisce dalle impurità con cui l'uomo, per interesse proprio, la sporca e la nasconde.

Nelle sue poesie ci sono spesso richiami religiosi. La religione dovrebbe essere soprattutto amore, richiamo a una comprensione reciproca. Invece oggi viene usata come strumento di odio, di divisione. A me l'idea dello scontro di civiltà, la teoria della Fallaci dei musulmani che vogliono invaderci e conquistarci, sembra una buffonata, una specie di ideologia studiata a tavolino da certi ambienti fondamentalisti cristiani per crearsi un nemico contro cui poter combattere. Lei che ne pensa? Non pensa che cristianità e mondo islamico siano, nella loro essenza, molto più vicini di quanto non si voglia far credere?

Sì, senz'altro, perché il mondo islamico non è affatto quello deformato che ci propongono i media. È vero che ci sono alcuni che credono nella cosiddetta "guerra santa" e la portano avanti, ma questo non ci deve far generalizzare il giudizio complessivo sul mondo islamico. Esso stesso, nella figura delle sue maggiori istituzioni religiose, prende spesso le distanze da certi atteggiamenti estremisti. Io comunque, nella mia vita, non ho contrapposto al mondo islamico quello cristiano ma quello buddista; da lì non è mai venuto, e sono sicuro mai verrà, nessun atteggiamento e tantomeno nessuna pratica violenta. Il buddismo non si presta affatto ad essere manipolato in questo senso, perché le moltissime "scuole" che lo compongono riconducono tutte all'unico Buddha che è appunto rifiuto totale di ogni tipo di violenza. Ma nella mia concezione religiosa convive anche il cristianesimo che, con la sua vocazione trascendente, completa l'immanenza tipica del buddismo. Certo, devo ammettere che il mio cristianesimo è sui generis, in quanto non mi riconosco, e non riconosco l'autorità ecclesiale; diciamo che il mio è un cristianesimo senza Chiesa che, forse proprio per questo, si può incontrare col buddismo.

La poesia viene spesso intesa, con un luogo comune, come astrazione dalla realtà, dal sociale, dal politico. Invece, fin da Dante, ha spesso avuto un forte ruolo civico. Senza scomodare il Sommo, basti pensare alle polemiche che hanno coinvolto l'ultimo Luzi o gli ultimi versi di Raboni. Lei come si pone di fronte al mondo? pensa che il poeta debba avere un ruolo nel condannare le storture di questo mondo e nell'indicare una via per una società più giusta o deve solo contemplare dall'esterno?

Io, per un certo periodo, ho creduto nella possibilità della poesia di investigare la realtà contingente, compresa quella politica ma da un certo punto in poi ho perso questa fiducia. Non credo che la poesia possa incidere in modo forte sulla realtà perché appartiene ad una dimensione diversa: la dimensione del "segreto". Se io ho un problema che mi pongo davanti, siamo io ed il problema. Ma se io ho un segreto, io faccio parte di quel segreto, sono un tutt'uno con quel segreto. Diventa quindi difficile affrontare con la poesia temi politici o legati all'attualità. Per lo meno affrontarli in modo diretto, perché nel suo esserne "fuori", la poesia comprende anche tutta la realtà. Apparentemente quindi la poesia non è uno strumento giusto per indagare la realtà ma, se si guarda bene in profondità, è uno dei più giusti. Quando io, con la poesia, ho trovato il "segreto", il "mistero", ho trovato tutto, anche la politica. Con questo non devi pensare che io sia indifferente alle cose del mondo, se c'è da fare una battaglia giusta io sono il primo a schierarmi. Ma fare poesia ha bisogno di ben altri elementi: la mia stanzuccia, la solitudine e il silenzio sono indispensabili per individuare, indagare e carpire il "mistero".

E la prosa invece? Pensa che possa indagare meglio la realtà?

La prosa non la conosco molto, non è il mio ambito. Quando provo a scrivere in prosa ho sempre bisogno di sapere chi sarà il mio pubblico, quanti lettori avrò, di che tipo. Invece la poesia è tutta lì, prescinde da tutte queste considerazioni esteriori, c'è solo il poeta e il "segreto". Prosa e poesia sono due linguaggi totalmente diversi, non hanno niente in comune.

Aveva dunque ragione Sartre a dire che lo scrittore completa il suo processo di scrittura quando il suo libro viene letto, perché il lettore è parte fondamentale di questo processo. La poesia invece è, in un certo senso, autosufficiente.

Sì, questo è vero, ed è forse una delle poche cose che posso condividere con Sartre, a cui non è riuscito di essere né un buon filosofo (ha furbescamente inventato il suo esistenzialismo semplicemente capovolgendo le categorie di Heidegger), né un buon prosatore, né un buon drammaturgo. Ha certamente ricoperto un ruolo importante nella storia della filosofia del Novecento, ma non è nemmeno paragonabile alla grandezza di un Heidegger.

Perchè la grande editoria non investe in poesia e si adagia unicamente sui grandi nomi ormai acquisiti?

Perché la poesia non interessa a nessuno, non vende, e le case editrici sono comunque aziende che preferiscono puntare sui nomi sicuri che hanno un po' di mercato: Magrelli, Valduga, io la Merini e che comunque quando arrivano a vendere 1500-2000 copie è un gran successo. Niente di paragonabile dunque ai numeri della prosa. Del resto chi sceglie di fare il poeta (o il filosofo) sceglie la solitudine, altrimenti non potrebbe sentire le parole "vere" e distinguerle da quelle false di cui è pieno il mondo. Solitudine e silenzio sono gli elementi del poeta.


pubblicato il 10/10/2006
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