Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011

Il corpo che un corpo dà

Il corpo che un corpo dà
Madre mia non vedo paradisi e inferni,
ma inarrestabili ed eguali Limbi.
Solo vorrei che la madre nei giorni morta
per la quale ho pianto poco fuori
ma dentro una voragine è rimasta senza fiori,
lei, guardasse da nessuna realtà del cielo
la mia attuale realtà ed insegnasse
consegnando premi, punti di valore
cabbalà e maglioni bianchi all’uncino
che voglion dire “io ti proteggo” protezione.
Vorrei che mia madre fosse rimasta vera,
sì, da morta, sì come in un sonno senza dolore
e viva guardasse il mio vivo squallore
tra una strada, una guerra e l’altra sospeso
senza dimora e pace, vorrei che tenesse
la testa mia tra le gocce d’olio del malocchio
nel piatto d’acqua oceano, nascondesse
nella tana più lontana il cuore mio indeciso
che alla prima luce sta per essere trafitto.
M’hai lasciato il detto...fatti il sangue amaro.
E tu fattelo dolce, séguita col racconto
di come t’è scappato di mano l’animale
impaurito, di come troppo stretti i pugni
delle incapaci carezze, strozzato è rimasto
ingabbiato di lame indecise...indecorose...
Da sola avevi un principio canoro contro
la tua giovinezza che è stata una ventata oscura
il cielo gravido d’un avvenire di bombe.
Che intorno al corpo ansimante mio, fiori
mettesse come ad una tomba e condottieri
armati contro l’offesa schierati all’attacco
delle promesse che non ho mantenute...
Sì, darei la mia permanenza in vita in cambio
della sua, ma tutto nello stesso tempo
di questo contemporaneo dominio dall’alto
per cui hai pianto e che non hai conosciuto.
Se salvo, non in prima fila, fossi non in oltretomba,
ma clandestino nelle nostre due penombre,
madre mia in carne e in quelle tue ridotte ossa
che corpo sono state che un corpo poi hanno dato
che ogni volta, a stagioni, finisce e il corpo più non dà.
Scheletro, scheletro mia madre anche ora
ha combinato saliva, sudori e m’ha dato filamento
vivo e disperato. E più non finirei questo lamento..