Il mio nome non è Rodriguez.
È un sospiro di piedi che si arrampicano,
l'affanno della bramosia dell’ oro,
la religione del mercante di schiavi
aggrappata con mani storpie alla coda dell’invidia.
Il mio nome non è Rodriguez.
È il pianto silenzioso di una madre indiana,
la saliva di un guerriero sulla punta di una freccia, l’artiglio di un giaguaro,
le forme seducenti di una donna sulla roccia vulcanica.
Il mio vero nome è la cenere della memoria di alberi arsi.
È il bambino di tre anni che vaga nella pianura
e viene ucciso da un Cavalleggero degli US durante il massacro di Sand Creek.
Sono un urlo di Geronimo nei canyon degli Antenati.
Sono lo scout comanche; lo sciamano Raramuri
con la bandana sporca che corre sotto la pioggia battente.
Mi chiamano Rodriguez e le mie lacrime lasciano fiumi di sale.
Sono Rodriguez e la mia pelle si secca sulle ossa.
Sono Rodriguez e una risata malata mi entra attraverso i pori.
Sono Rodriguez e la follia di mio padre
mi blocca ogni via d’uscita,
calcinando le pareti di ogni casa.
Il mio nome non è Rodriguez; è una fibra nel vento,
è ciò che fu sommerso dagli oceani,
il gracile e sublime dei picchi delle montagne,
ciò che cresce rosso nelle sabbie del deserto.
È la vita che striscia, i respiri acquosi fra i davanzali.
È il tamburo teso e la danza del peyote.
È l’infuso fermentato delle inquietudini.
Non chiamatemi Rodriguez a meno che non vogliate dire contadino o giardiniere,
a meno che non vogliate dire assassino di verità e becchino di speranze.
A meno che non vogliate dire dimentica e poi muori.
Il mio nome è il ragazzino col cappuccio nero che impugna una 9mm,
in una qualsiasi delle nostre strade.
Sono il monaco del braccio della morte. Il ragazzino di otto anni che vende gomma da masticare
nei bar e negozi di taco.
Sono senza permessi, senza assicurazione, senza regole, e senza perdono.
Sono libero e perciò affamato.
Chiamatemi Rodriguez e sanguinate per la vergogna.
Chiamatemi Rodriguez e dimenticate il vostro nome.
Chiamatemi Rodriguez e vedete se sussurro al vostro orecchio,
con la bocca sporca di vino amaro.
My name’s not Rodriguez.
It is a sigh of climbing feet,
the lather of gold lust,
the slave masters’ religion
with crippled hands gripping greed’s tail.
My name’s not Rodriguez.
It’s an Indian mother’s noiseless cry,
a warrior’s saliva on arrow tip, a jaguar’s claw,
a woman’s enticing contours on volcanic rock.
My real name’s the ash of memory from burned trees.
It’s the three-year-old child wandering in the plain
and shot by U.S. Calvary in the Sand Creek massacre.
I’m a Geronimo’s yell into the canyons of the old ones.
I’m the Comanche scout; the Raramuri shaman
in soiled bandanna running in the wretched rain.
I’m called Rodriguez and my tears leave rivers of salt.
I’m Rodriguez and my skin dries on the bones.
I’m Rodriguez and a diseased laughter enters the pores.
I’m Rodriguez and my father’s insanity
blocks every passageway,
scorching the walls of every dwelling.
My name’s not Rodriguez; it’s a fiber in the wind,
it’s what oceans have immersed,
it’s what’s graceful and sublime over the top of peaks,
what grows red in desert sands.
It’s the crawling life, the watery breaths between ledges.
It’s taut drum and peyote dance.
It’s the brew from fermented heartaches.
Don’t call me Rodriguez unless you mean peon and sod carrier,
unless you mean slayer of truths and deep-sixer of hopes.
Unless you mean forget and then die.
My name’s the black-hooded 9mm-wielding child in all our alleys.
I’m death row monk. The eight-year-old gum seller
in city bars and taco shops.
I’m unlicensed, uninsured, unregulated, and unforgiven.
I’m free and therefore hungry.
Call me Rodriguez and bleed in shame.
Call me Rodriguez and forget your own name.
Call me Rodriguez and see if I whisper in your ear,
mouth stained with bitter wine.