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04/04/2011
Al mio amico
Apuleio, nell’Asino d’oro, scrive di tempi così.
Un ragazzo con la testa di maiale che diventa re.
Uomini che borbottano indistintamente e si trasformano in lupi.
Donne bellissime che fornicano con scimmie.
Rabbini che sparano con fucili e affiggono mezuzot agli stipiti di un bordello.
La gente avida delle barzellette del topo, dell’ululato della iena.
Chi si compra nuovi seni, chi si fa ritoccare il sedere.
Il popolo è colto da eccitazione quando il ricco molla una scorreggia.
Per strada la gente agita bandiere fatte di banconote.
Il giornalista caccia fuori la lingua dal culo e diventa un pensatore.
Si tengono competizioni tra bugiardi, baciaculi, soldati e truffatori.
Tra gli applausi e di fronte alle macchine da presa si distruggono interi villaggi.
Un uomo grasso inghiotte in pubblico cento uomini magri.
Il brigantaggio diviene religione di stato, si assaltano vigneti e pozzi.
Sciamano ovunque l’ufficiale e l’esattore delle tasse, il carceriere e il delatore.
Navi colme di schiavi sono ancorate ai porti.
Il boia siede a capotavola, attorniato da una schiera di professori.
Un agente segreto è l’astrologo del giorno, il governatore della banca l’alchimista.
Ma tutte queste delusioni spariscono in un istante. Bastano pochi giorni di pioggia,
e gli idoli del potere, i mostri dell’armamento, le maschere, sono in mezzo al fango.
La gente sveste gli abiti di scimmia e le pelli di lupo, e torna al lavoro.
E anche noi, amico mio: né mio nonno né il tuo hanno mai guadagnato da vivere con il
sangue.
Mille anni e altri mille abbiamo diviso il nostro pane con i poveri della terra.
Vieni, selliamo i nostri muli, e torniamo a cuocere questo pane,
tu per gli onesti di Smirne, io per i diligenti di Alessandria.
Davide Mano