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04/04/2011

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Etel Adnan
Libano napoletano

INTERVISTA A ETEL ADNAN

Michele Fumagallo


Incontro con la poetessa, scrittrice e pittrice di Beirut (ma vive tra il Libano, la Francia e gli States) ospite domani sera al festival Napolipoesia: «Mi sento americana e araba, e a volte queste due identità sono in conflitto»

«Sono allo stesso tempo un'americana ed un'araba e a volte queste due identità sono in conflitto l'una con l'altra; non tutti i giorni ma di tanto in tanto divento una montagna squassata da un terribile terremoto». Così racconta se stessa Etel Adnan, una delle più interessanti espressioni della letteratura contemporanea, pioniera e modello nel processo di emancipazione femminile del mondo arabo, oltre ad essere punto di riferimento per la diaspora da quei paesi. Lunedì 19 luglio, nell'ambito di Napolipoesia, un'intera serata è dedicata a lei (alla Fondazione Premio Napoli in Palazzo Reale, Piazza Plebiscito, ore 18). Etel è una poetessa libanese in esilio da tanti anni. Nata a Beirut nel 1925 da padre siriano musulmano e madre greca cristiana, nel 1950, si trasferisce a Parigi per studiare filosofia alla Sorbona. Cinque anni dopo parte per l'America dove studia a Berkeley e Harvard. Ha insegnato per molti anni in diverse università negli Stati Uniti e tenuto conferenze e letture in giro per il mondo. Vive tra California, Francia e Libano. La Adnan è poetessa, scrittrice e pittrice. Scrive in francese e inglese ma afferma di dipingere in arabo. Dopo il primo volume di poesie, Moonshots (Beirut 1966), la Adnan ha pubblicato libri e raccolte di poesie in molti paesi e in molte lingue. Dai suoi Love poems è stata realizzata un'opera musicale e recentemente è stata protagonista di un film biografico. Per Multimedia Edizioni / Casa della poesia (che organizza la kermesse napoletana), ha pubblicato il saggio nella tradizione di Siddharta, Viaggio al Monte Tamalpais, la bella biografia Crescere per essere scrittrice in Libano e proprio in questi giorni Nel cuore del cuore di un altro paese. Inoltre per le Edizioni delle donne Sitt Marie Rose e per Semar Apocalisse Araba. "Words in exile" è il titolo della manifestazione di Napoli ed è proprio dall'esilio che parte la nostra intervista.

L'omaggio che ti dedica Casa della Poesia insieme alla Fondazione Premio Napoli si intitola "Parole in esilio". Ma cos'è per una poetessa come te l'esilio?

L'esilio è un concetto che richiede approcci multipli. Di solito si pensa all'esilio politico, all'impossibilità per una persona di tornare a casa per motivi politici. Picasso, per esempio, è rimasto ossessionato dalla Spagna e non poteva tornare indietro fino a quando Franco era al potere. Entrambi hanno vissuto una lunga vita e Picasso non è mai tornato. Nel XX secolo milioni di persone sono sfollati e non sono stati autorizzati a tornare nelle loro case d'origine. Anche oggi vi sono esiliati politici in varie parti del mondo, e, nell'Oriente arabo, da dove vengo io, più di un milione di palestinesi sono in esilio, c'è una terza generazione di persone che non possono tornare in Palestina, anche a dispetto di chiari diritti internazionali. Ci sono altre forme di esilio: si può essere alienato dal proprio sé, si può rifiutare una persona fino al punto da renderla estranea a ciò che lui o lei è. Si può essere esiliato da un paradiso vissuto. Ci sono storie d'amore in cui un rapporto è stato brutalmente interrotto e si devono spendere anni, o un tempo di vita, privi di quella (breve) felicità. Siamo inoltre in esilio da alcune belle esperienze che ci sarebbero state se il nostro desiderio fosse stato esaudito. Così, ad esempio, ho sognato di andare a Machu Pichu e al lago Atitlan, per anni, e non l'ho fatto, ed ora che la salute mi impedisce di andare in alta quota mi sento come se mi avessero impedita di entrare in paradiso.

Hai partecipato a un film biografico della regista greca Vouvoula Skoura intitolato "Etel Adnan: words in exile". Come hai vissuto questa esperienza?

La Skoura ha fatto un film su di me per rivivere i ricordi di mia madre greca.. In realtà vado spesso in Grecia con il segreto desiderio di sentire ancora una volta la voce di mia madre, greca di Smirne, con una inflessione che i greci continentali non hanno. Continuo sempre ad aspettare quella voce.

Come ricordi il tuo paese, il Libano? E cosa ne pensi adesso?

Cosa ricordo del Libano? Oh, tante cose. Voglio dire Beirut, per lo più. Ricordo che potevo vedere il mare da ogni parte della città. Mi sembra ancora di sentire l'odore del gelsomino e gli aranci quando camminavamo per le strade. Vorrei ritornare a camminare per pochi isolati della città e poi giù a nuotare. C'erano i tram elettrici e una manciata di taxi, e io andavo a piedi per lunghe ore. Vorrei ritornare di nuovo a scuola non per imparare qualcosa, ma per giocare con i bambini in tempo di ricreazione. E da Beirut andavo con mio padre a Damasco per visitare mia zia e sostare nella pasticceria preferita. Da Beirut andavo in montagna in estate e in settembre, dopo la prima pioggia e l'odore della terra bagnata. Più tardi, quando avevo 20/21 anni, vi erano i locali notturni dove potevo andare ma non rimanere troppo a lungo nella notte. Poi c'è stata la seconda guerra mondiale, allora ero alla scuola superiore, con gli eserciti stranieri che si spostavano attraverso il Libano. Ho visto allora un nuovo tipo di giovani per le strade, quelli che puzzavano di tabacco inglese. Ho lasciato quindi il Libano per Parigi e la California, ma vi tornai per alcune estati per il Festival di Baalbeck, uno dei siti archeologici più importanti del Medio Oriente, e per ritrovare gli amici. Beirut stava crescendo in dimensioni e importanza ma si cominciavano a percepire le tensioni future. Nel 1967 è il disastro. La guerra arabo-israeliana, costringendo ondate di profughi palestinesi fuori dalla Palestina occupata, manda in frantumi tutti i sogni. Iniziano le tensioni che portano alla guerra civile durata quindici anni. E così il Libano che ho conosciuto è finito, completamente distrutto. Oggi Beirut è una città caotica. Una società privata, denominata Solidere, fondata dal defunto Rafic Hariri, ha corrotto il parlamento libanese e ha ottenuto il diritto di ricostruire la città ed espropriare per questo qualsiasi pezzo di terra di cui aveva bisogno per i suoi progetti: ha distrutto molte case belle che erano sfuggite alla distruzione della guerra civile. È diventato primo ministro e adesso gli è successo il figlio. Immaginate un paese gestito da un uomo che è anche il più grande imprenditore immobiliare della regione! Così Beirut sta diventando un incubo: edifici alti anche 55 piani in vie strette, persone che non vanno più a trovare i loro amici, appartamenti dove non vedi più il sole, dipendenti che rifiutano il lavoro perché ci mettono ore per raggiungerlo. Il governo sta adesso affondando sotto la corruzione e i vecchi demoni delle divisioni politico-religiose riprendono ad alzare la testa. C'è un sacco di soldi in giro ma moltissima povertà, incertezza, instabilità. E' una città, ancorché attiva e attraente per alcuni, in realtà distrutta più dalla costruzione senza legge che dalla guerra. La gente si lamenta in silenzio, ma non si muove. Un senso di fatalità aleggia nel paese.

Sei anche pittrice. Qual è il rapporto tra la tua pittura e la poesia?

Non posso dare una risposta chiara. Sono due attività artistiche molto diverse. Quando scrivo mi dimentico del tutto che io sono una pittrice, e viceversa. E' come se mi occupassi di due lingue diverse. È possibile però che ci siano alcune conseguenze: la mia scrittura è molto politica spesso, a causa delle turbolenze nel Mediterraneo orientale. La mia pittura è piuttosto astratta, una sorta di omaggio alla bellezza del mondo. Forse, se non dipingessi, avrei espresso il mio impegno attraverso il mondo audiovisivo. Ma non lo saprò mai.

Cos'è per te il movimento femminile?

Il movimento delle donne è più diffuso oggi di quanto sia stato vent'anni fa, ma la lotta continua. A volte in modo inconsapevole, cioè non come movimento di liberazione delle donne, la lotta prosegue nel privato spontaneamente contro la brutalità e la violenza che le donne soffrono, o per cercare un lavoro. Si ribellano, ad esempio nel mondo musulmano, contro le restrizioni, quella per uscire da sole, o per andare in viaggio. È un problema enorme. E, va detto, che oggi la lotta è generale: non ci sono progresso qui (in Occidente) e sconfitta là. Ma in generale adesso la situazione non sta migliorando: c'è lo sfruttamento della prostituzione in tutto il mondo, c'è l'occultamento della violenza domestica. Anche se non bisogna dimenticare che in alcune parti del mondo gli uomini sono oppressi, vivono spesso in condizioni disumane, subiscono la violenza delle guerre. La distruzione americana in Iraq ha ucciso masse di esseri umani per niente! Penso che siamo prigionieri dei metodi tradizionali di considerare i problemi, mentre la liberazione è questione complessa che riguarda tutti. È una battaglia che non si ferma, e forse è anche parte della bellezza dello spirito umano.

Napoli è città difficile. E oggi ti festeggia. Se tu potessi chiederle qualcosa, cosa le chiederesti?

Purtroppo non conosco Napoli abbastanza, ma vorrei che mantenesse il suo spirito creativo, la sua bellezza caotica, il suo istinto ribelle.

il Manifesto, 18 luglio 2010
Etel Adnan è nata a Beirut, Libano, nel 1925, da padre siriano mussulmano e madre greca cristiana. “Beirut e Damasco” ha detto in una intervista a Margot Badran, “paesaggi della mia infanzia, rappresentavano due poli, due culture, due mondi diversi, ed io li amavo entrambi”. Frequentò una scuola presso un convento cattolico di suore francesi fino ai 16 anni. Lo scoppio della guerra interruppe "i suoi studi e iniziò a lavorare per il French Information Bureau. Tre anni dopo, si... etel-adnan-1
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