Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011

Paesaggi di carta

Paesaggi di carta Paisajes de papel
Alle mie sorelle Susy e Margara

Quell’infanzia fu piuttosto triste.
Essere bambini nel quarantadue sembrava impossibile.
La nostra infanzia era un misto di comprensione e noia.
Eravamo seri e annoiati.
Ricordo quelle sere; erano come il mondo era allora:
senza spiragli e tristi.
Vedo i miei pochi anni osservare con impegno,
dietro il cristallo opaco, la strada lunga e grigia;
il sole era lontano ed era l’unica cosa a buon mercato,
l’unica cosa che portava allegria senza chiederci nulla.
Mi vedo bambina, adulta e coerente
con un programma ben tracciato:
crescere, crescere molto presto, darsi fretta
– essere bimbo era un compito troppo pesante
per noialtri e per i grandi –.
Solo in estate il mondo sembrava accessibile,
per tre o quattro mesi saltare, correre, era la vita.
Il grigio tornava sempre troppo presto.
Un giorno ci risvegliammo lente, cresciute,
piene di paura, di presente.
Cercavamo parole nel dizionario
con l’ansia di capire tutto:
ci serviva costruire un linguaggio.
Qualcuno ci guardava con stupore,
dicevano che eravamo intelligenti.
Noi, nelle dolenti domeniche
disegnavamo paesaggi incerti.
Per molto tempo queste furono tutte le mie escursioni.
Andar fuori in un campo che non fosse dipinto
significava consumare le scarpe.
Uscire, uscire, quello era il sogno,
abolire le trecce, inaugurare la linea delle labbra:
il mio regno per un lavoro!
Come rendere omaggio ora a quei giorni?
Come rimpiangerli senza sfiducia?
Si sgualcirono, come i paesaggi di carta,
mentre crescevamo a questo sconforto che oggi ci popola.
A mis hermanas Susy y Margara

Aquella infancia fue más bien triste.
Ser niño en el cuarenta y dos parecía imposible.
Nuestra niñez era una mezcla de comprensión y aburrimiento.
Éramos serios y aburridos.
Recuerdo aquellas tardes; eran como el mundo era entonces:
sin resquicios y tristes.
Veo mis pocos años observar con ahínco,
tras el cristal opaco, la calle larga y gris;
el sol estaba lejos y era lo único barato,
lo único que traía alegría sin exigirnos nada.
Veo mi niña, adulta y consecuente
con un programa bien trazado:
crecer, crecer muy pronto, darse prisa
–ser niño era una carga demasiado pesada
para nosotros y para los grandes–.
Sólo en verano el mundo parecía asequible,
durante tres o cuatro meses saltar, correr, era la vida.
Lo gris volvía siempre muy pronto.
Un día amanecimos lentas, crecidas,
llenas de miedo, de presente.
Buscábamos palabras en el diccionario
con el afán de comprenderlo todo:
necesitábamos hacer lenguaje.
Algunos nos miraron con asombro,
decían que éramos inteligentes.
Nosotras, durante los dolientes domingos
dibujábamos inseguros paisajes.
Durante mucho tiempo esas fueron todas mis excursiones.
Salir a un campo que no fuera pintado
suponía gastar unos zapatos.
Salir, salir, ese era el sueño,
abolir a las trenzas, inaugurar la barra de labios:
¡mi reino por un trabajo!
¿Cómo rendir ahora un homenaje a aquellos días?
¿Cómo añorarlos sin desconfianza?
Se arrugaron, igual que los paisajes de papel,
mientras crecíamos hacia este desconsuelo que hoy nos puebla.
Raffaella Marzano e Guadalupe Grande