Mi avvicinai a un ramo carico di neve
Dove uno dei corvi piegava sotto le zampe il legno.
Diventai quel dondolio di grigio e nero.
E quel diverso verde (misto di salvia e gelo)
Che avanzava con un tocco di livore sulle nubi.
Vidi me stessa dentro quel purgatorio.
Tutto era paesaggio. La rabbia: un tumulo.
L’incertezza – a mucchi: una collina.
Il disamore: alberi con ombre intirizzite.
“Osserva” disse l’ombra nel cespuglio più vicino,
“la nebbia inghiotte il tuo dolore.
Impara nel tuo spazio mortale
Imparando si sfiora il paradiso.”
Sì, risposi e la luce diminuì l’ira del mattino
Divise il mio corpo dal rancore
Impose alle ombre di tacere.
E un tagliante azzurro prese – era già paradiso?
Il posto del paesaggio, della prima persona.