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04/04/2011

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Ana Blandiana
"La poesia è ciò che mi ha dato, come un sesto senso, la sensazione della presenza dell'altro nel mondo circostante. L'altro mi guarda dalle pietre, dalle piante, dagli animali, dalle nuvole, un altro che solo nei momenti di grande stanchezza si chiama nessuno".

È una frase di Ana Blandiana (vero nome Otilia Valeria Coman, e Blandiana è il villaggio da dove provenivano i genitori) che molto ci dice sull'essenza della sua poesia, e che si può leggere, assieme ad altre acute riflessioni, nel saggio di chiusura ("La poesia, tra silenzio e peccato") alla folta antologia poetica Un tempo gli alberi avevano occhi (2004, Donzelli) curata in modo eccellente da Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni. Un libro utile e convincente per far conoscere in modo approfondito la poetessa romena (nata a Timisoara, sul confine ungherese, nel 1942) più nota al mondo, una delle voce più limpide della fertile poesia contemporanea della Romania, per decenni impegnata contro Ceausescu e per questo censurata e spiata, fino al crollo del regime avvenuto nel dicembre del 1989.

L'esordio in versi della Blandiana risale al 1964, con "Prima persona plurale". Un tempo gli alberi avevano occhi prende avvio con una selezione di testi della seconda raccolta "Il tallone vulnerabile" (1966), per poi proseguire con i lavori più significativi: "Il terzo sacramento" (1969), "Ottobre, Novembre, Dicembre" (1972), "Il sonno nel sonno" (1977), "L'occhio del grillo" (1981), "Stella da preda" (1985), "L'architettura delle onde (1990) per arrivare, infine, a "L'ultimo sole" (2000).
Ana Blandiana ha pubblicato anche numerosi libri di saggi, alcune raccolte di racconti e di versi per l'infanzia.
Qui non si trovano i famosi testi politici, quelli contro la repressione e la dittatura, probabilmente per non affollare troppo l'antologia e far risaltare in modo netto gli aspetti lirici. Però non mancano riferimenti alla situazione politica romena e alla vita dell'autrice, spiata e reclusa in casa, soprattutto nei testi della raccolta "L'architettura delle onde".

Quella della Blandiana è una poesia che si sviluppa nel tempo in modo costante eppure senza fretta, quasi con un certo aristocratico distacco, perché, come scrive l'autrice nel saggio citato, "sono un poeta, non posso permettermi di diventare un autore di versi". Un paradosso che rivela il carattere appartato e tendenzialmente malinconico di questa poesia che sa ascoltare le voci della natura e poi riportarle nei versi con una voce pulita, semplice ed essenziale ("Verso una poesia povera" s'intitola l'intervento della Frabotta, messo in chiusura). Il tempo circolare e un linguaggio scabro e fitto di ripetizioni lessicali danno alla poesia della Blandiana un'aurea di sacralità, di mistero (v. la presenza degli angeli). Per questo i testi qui raccolti (sono più di sessanta) entrano lenti e come a piedi nudi, così da evitare rumori molesti, nella testa del lettore per fargli apprezzare il silenzio ("la capacità di tacere"), e innescare, a fine lettura, la voglia di ricominciare dall'inizio, ovvero di rileggerli ancora, di trarne altro calore (se hai freddo, copriti / con le vesti striminzite di questi versi).

Poesia che non si sforza di stupire o incantare, non c'è l'ansia di mostrare bravura, abilità tecnica, originalità nella forma, o un pensiero sconcertante o totalmente nuovo. Qui l'idea di poesia è la percezione del reale (della morte e della vita) che nasce dalla profonda e pacata riflessione, da un chiarore sottile che mette in risalto le ombre, i particolari, le venature della corteccia degli alberi, i colori delle cose, della luce e "gli altri", ovvero di chi ci sta accanto o, per contrasto, la solitudine più nera (La solitudine è una città / dove gli altri sono morti). La poesia fa parte della letteratura, certo, ma allo stesso tempo è (o agisce) come se ne fosse al di fuori, o del tutto estranea, come amava dire anche Umberto Saba. "Mentre la materia prima da cui viene ritagliata la letteratura", scrive la Blandiana, "è la parola, il mistero della poesia è costituito da silenzi che le parole si limitano a circoscrivere e valorizzare". Per questo i grandi poeti, nella sostanza, si assomigliano tutti.

Probabilmente la prima parte del libro è meno profonda nella riflessione eppure quella più intensa, più suadente: cammino dentro di me / come in una città straniera / dove non conosco nessuno. Oppure si veda la poesia "L'occhio chiuso", che qui sotto riporto per intero:

Nemmeno un istante oso chiudere gli occhi
per paura
di stritolarlo tra le palpebre il mondo,
di sentirlo ridursi in frantumi
come una nocciola fra i denti.
Quanto tempo potrò tenerlo in vita?
Guardo angosciata
e soffro come un cane
per l'universo che non ha riparo
e morirà nel mio occhio chiuso.


Non è facile tenere assieme i tanti (troppi) pensieri e le riflessioni d'un libro così composito che attraversa oltre trent'anni di poesia e ben otto raccolte poetiche. Nel tempo cambiano i toni, che si fanno più nostalgici e riflessivi, o dolorosi. Si acumina lo sguardo, la poesia si evolve, diventa più complessa e si accentua la compostezza (che si fa scioltezza) metrica. Oppure si torna ai temi originali, quelli contenuti nelle prime raccolte, ma con un taglio più asciutto, più teso, talvolta oracolare. Ma occorre dire che la poesia della Blandiana è molto fedele a se stessa: nel tempo lo stile non cambia molto, e questo suscita nel lettore un senso di staticità, anche se nella prima parte l'io è più spesso maschile che femminile. Staticità che rientra nella visione poetica della Blandiana che scruta e scava nello stesso paesaggio.

La bellezza di questo mondo poetico, non vasto ma articolato e come disegnato in rilievo, va cercata nei gesti, nel distacco improvviso, e - soprattutto - nello sguardo che coglie e non strappa, nella riflessione raffinata ma non oscura, che va sotto, sonda nel baratro, nella terra in cerca delle radici più tenaci o segrete, delle ombre delle nuvole che inviano messaggi incomprensibili e mai trascura il filo d'erba ingiallito o calpestato, il cuore d'una noce, e gli occhi degli alberi. Una poesia che sa vedere (e scortecciare) la superficie, il silenzio, ma senza perdersi in astrazioni o smarrirsi nel profondo o che il profondo cerca (e trova) nella superficie, nel visibile.

La traduzione di Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni è accurata e c'è come una morbidezza nel verso che rallenta la lettura, ferma la fretta di chi legge, lo fa sostare su ogni singola parola e con garbo gli permette di cogliere la bellezza, e la soffice luce affollata d'occhi e di mani, della poesia di Ana Blandiana.


Ana Blandiana, Un tempo gli alberi avevano occhi, Donzelli, Roma 2004, pp. 189
Ana Blandiana è una delle maggiori poetesse romene tradotta in molte lingue. Nel 1976 fu invitata a Parigi dal Club des Poetes ad un festival internazionale di poesia a cui parteciparono poeti provenienti da 37 paesi. Nata nel 1942 a Timisoara l'eroica città che nel 1989 diede origine alla rivolta che avrebbe deposto dal potere Ceausescu. Ha studiato a Oradea laureandosi in filologia all'Università di Cluj, dove fece il suo debutto all'età di 17 anni su “Tribuna”. È stata per un periodo... num004blandiana