Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011
Allucinazioni Delirios
Nel suo letto di carbone e ruggine,
il cadavere delira:
immobile vede incrociarsi le pericolose spade
e urtarsi a destra e a sinistra senza posa.
Il cadavere ascolta:
Pungono pezzi del letto le spade, fanno saltare gli spigoli delle pietre,
forano il pavimento di sabbia battuta.
Sollevano schegge, muffa, scaglie di ruggine.
Fanno volare capitelli e duri angoli,
s'incastrano, si liberano delle incastrature.
Il cadavere sospira:
non c'è riposo? (domanda)
non si potrebbe sognare come il vento lima le pietre,
come le piante dei piedi sostengono il primo passo del bimbo?
Il sorriso del primo passo, domanda.
Immobile il cadavere ascolta la disperazione
dell'amplesso,
vede le spade, la nudità,
il gemito della donna, il gemito dell'uomo;
mormorano,
si temono l'un l'altra. Abbandonano la parvenza dei loro visi.
I loro corpi sono ventri schiantati,
il muscolo ferito nella febbre del galoppo,
quella zampa spaccata del cavallo!
Non si potrebbe ascoltare il dolce strofinio dell'amplesso?
Entrambi son diventati lacerazioni,
sono lame e fiamme e lo strappo del puledro e l'armatura schiantata dallo sparo.
Non hanno pietà. Il cadavere delira.
Dovrebbero cadere in acqua!, dice il cadavere.
Mollare le spade, smettere di mangiarsi l'un l'altro!
Rimanere. Abbandonare il tradimento,
mettere a posto le mandibole,
non scardinarsi.
Chiudere le gambe. Piegare le ginocchia.
Appoggiarle agli inginocchiatoi del tempio dove i corpi si recano vestiti.
Lì nessuno si corica, nessuno brandisce la spada aspra della nudità!
Dimenticare il bieco appetito, la disperanza,
e di fronte a tutti
coperti dall'acqua densa e tiepida degli sguardi,
abbracciarsi a vicenda.
Gettate le spade! Non uccidete né tagliate!
Smettete un momento di ammazzarvi!
En su lecho de carbón y de herrumbre,
el cadáver delira:
inmóvil ve cruzar las espadas peligrosas
chocando a diestra y siniestra sin descanso.
El cadáver escucha:
Trocan trozos de lecho las espadas, hacen saltar las aristas de las piedras,
muescan la arena del piso.
Levantan astillas, el moho, las escamas de la herrumbre.
Echan a volar volutas y duras esquinas,
se encajan, se zafan de los encajaderos.
El cadáver suspira:
¿no hay reposo? (pregunta)
¿no podría soñar cómo pule el viento las piedras,
cómo apoyan las plantas el primer paso del niño?
La sonrisa del primer paso, pregunta.
Inmóvil el cadáver oye la deseperación
del abrazo,
ve las espadas, la desnudez,
el quejido de la mujer, el quejido del hombre;
musitan,
se temen el uno al otro. Abandonan la apariencia de sus caras.
¡Sus cuerpos son reventadas tripas,
el músculo herido en la fiebre del galope,
esa pata rota del caballo!
¿No podría oír el tierno roce del abrazo?
Los dos son rasgaduras,
son filos y llamas y el jalón del potro y la armadura reventada por la bala.
No tienen piedad. El cadáver delira.
¡Debieran caerse al agua!, dice el cadáver.
¡Soltar las espadas, dejar de comerse el uno al otro!
Permanecer. Abandonar la traición,
acomodar las mandíbulas,
ya no desencajarse.
Cerrar las piernas. Doblar las rodillas.
Apoyarlas en los reclinatorios del templo al que los cuerpos acuden vestidos.
¡Ahí nadie se acuesta, nadie blande la espada arisca de la desnudez!
Olvidar el torvo apetito, la desesperanza,
y, enfrente de todos,
cubiertos por el agua tibia y espesa de las miradas,
abrazarse.
¡Tiren la espada! ¡No maten ni trocen!
¡Dejen un momento de matarse!
Martha Canfield