Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011

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Martha L. Canfield
5 domande a Martha Canfield
intervista di Alessio Brandolini


Hai tradotto moltissimo e seguiti a farlo con grande impegno, sia in italiano che in spagnolo. E’ come se tu volessi costruire un ponte, via via più largo e robusto, tra l’Italia e il continente americano. Forse questo è anche un modo per sentirsi – attraverso l’uso costante dell’italiano e dello spagnolo – comunque e sempre a casa propria? La tua casa è questo ponte?

Non direi che vivo su un ponte, mi sentirei insicura in quel caso... Mi sento di vivere in un mondo molto più vasto di quello che dicono le frontiere doganali, un mondo in cui convivono selve incontaminate e dolci colline toscane, il mare dei Caraibi e la laguna di Venezia, Piazza Navona a Roma e il quartiere La Candelaria di Bogotá. Cambio lingua e modi di dire e perfino la calata (chi mi conosce lo sa) quando passo da Venezia a Napoli o da Roma a Buenos Aires o da Montevideo a Lima, forse perché ho sempre cercato di comunicare sullo stesso livello dell’interlocutore, chiunque esso sia. Qualche volta mi sento un po’ Zelig, e la cosa, ti confesso, non mi dispiace. Traduco molto perché ci tengo a far conoscere autori che mi risultano molto conosciuti in una parte di quel vasto mondo che abito, e poco o niente in quell’altra. Ma traduco anche perché ricreare in un’altra lingua gli effetti creati da un autore amato e ammirato è un piacere enorme e profondo.

Anche in poesia scrivi con naturalezza sia in italiano che in spagnolo. Quest’anno è uscita una raccolta, Capriccio di un colore, in Italia, mentre Orillas como mares sta per uscire in Colombia. Quindi non hai una tua preferenza, non prevale una lingua sull’altra?

La mia prima lingua è (o è stata) lo spagnolo in quanto era la lingua in cui parlavano fra di loro i miei genitori, quella della prima scuola, dei giochi infantili, della comunicazione con mia sorella. L’italiano era la lingua dei nonni, degli zii (da parte di madre), in particolare della zia Tere, che mi raccontava la storia della famiglia e mi cantava arie di Puccini e di Verdi. L’italiano era la lingua della cultura e del sogno, di una mitica Italia che un giorno – ero sicura – avrei conosciuto. Qualcosa di simile accadeva con l’inglese, ma con un coinvolgimento emotivo molto minore. Quando sono arrivata in Italia avevo 25 anni, scrivevo soltanto in spagnolo, e come seconda lingua parlavo meglio l’inglese dell’italiano. Ma in poco tempo l’italiano prese il sopravvento sull’inglese e in buona misura anche sullo spagnolo. Spesso mi domandano in che lingua sogno, o penso, o bestemmio. Penso e sogno in spagnolo e in italiano, a seconda delle circostanze e, credo, delle pulsioni emotive. Quanto alle bestemmie mi capita spesso di farmi venire colorite espressioni toscane in mezzo al traffico indemoniato di Bogotá o, viceversa, di lanciare una frase in spagnolo al passante maleducato che ti spinge alla fermata dell’autobus o per strada a Firenze. Mi dicono che è un modo per stabilire la mia alterità in un caso e nell’altro, una forma di difesa. Se scrivo saggistica preferisco l’italiano perché ormai sono più nutrita metodologicamente in questa lingua; se traduco preferisco farlo in italiano perché mi sento più sicura delle scelte; se scrivo poesia mi sento a mio agio nelle due lingue e la scelta dipende dalle circostanze, dal tema, e anche da elementi che non controllo e di cui sicuramente non sono consapevole. Adesso sto lavorando a due raccolte, una in spagnolo e un’altra in italiano, e cerco di tradurre le poesie nell’altra lingua man mano che le scrivo, se non subito, dopo un po’ (cosa che talvolta può accadere dopo settimane o mesi). Potremmo fare un gioco: ti darò delle poesie mescolate, qualcuna scritta originariamente in italiano, qualcuna scritta in spagnolo e poi tradotta e tu, o i lettori che vorranno entrare nel gioco, mi direte cosa ne pensate, quale è originale e quale è tradotta. Che ne pensi?

Beh, penso che sarebbe un gioco difficile per chiunque, visto che ormai “possiedi” poeticamente le due lingue... Conosci bene, per via delle tante (e preziose) traduzioni che hai fatto e dell’importante Festival internazionale di Poesia di Medellín al quale hai partecipato numerose volte e di cui sei consulente per l’Italia, la situazione poetica italiana e quella sudamericana: quali sono i punti di contatto e le più marcate divergenze?

Credo che i punti di contatto derivino dalle letture incrociate, che comunque non riguardano tantissimi autori, anzi. Ad esempio Montale è stato sicuramente letto in tutta l’America di lingua spagnola lasciandone un segno. Borges continua a essere molto letto in Italia e le sue riflessioni metapoetiche, la sua sintassi asciutta ed incisiva, hanno lasciato un segno anche in non pochi autori italiani. Le differenze sono tante: la poesia in lingua spagnola riceve dall’oralità un patrimonio fondamentale che la lega al grande pubblico. Chi è, in ambito ispanico, il ragazzo che anche senza una particolare educazione non ha sussurrato alla fidanzata versi di Neruda, o di Bécquer, o di Silva, o nei nostri giorni di Mario Benedetti? Questo non succede in Italia, dove i poeti scrivono soprattutto per i poeti e i lettori di poesia sono sostanzialmente altri (gli stessi) poeti. Per lo stesso motivo, credo, autori che rifiutano il registro “alto”, che si avvicinano alla lingua parlata, che sono contemporaneamente trasgressori e testimoni del mondo d’oggi, sono i preferiti nell’America Latina. Forse questo esempio basta per tutti: Edoardo Sanguineti.

"Capriccio di un colore" è un’opera molto compatta dal punto di vista linguistico, di costruzione poetica eppure assai mossa per via dei molti contenuti, per il continuo movimento, il costante spostamento (da un luogo a un altro, da un colore a un altro…) a volte vorticoso a volte più dolce e pacato. Forse non a caso nelle tue poesie ricorrono spesso le parole ala/ali o scala, aria, sogno... Un vortice, sì, ma dalle rotte precise?

Nel mio segno astrologico (da brava junghiana lo prendo molto sul serio) c’è l’elemento aria due volte: sono Gemelli con ascendente Bilancia. Quindi tendo al volo, certo; rimanere attaccata a un pezzo di terra mi sembra una condanna. Sono curiosa, amo spaziare, conoscere, vedere, cambiare, e non ho mai paura di ricominciare. Se in questo continuo movimento ci siano delle “rotte precise” non lo so. Ci sono delle costanti, questo sì, una determinata fede, degli ideali, e queste cose forse vanno creando le rotte. Ma non mi afferro rigidamente ai piani, sono aperta ai cambiamenti, come ti dicevo.

E dopo Capriccio di un colore dove ti porterà il tuo viaggio poetico?

Dopo Capriccio? Chi lo sa. Ho appena scritto un libro di poesie d’amore, amore divino e amore profano. E dopo forse ci sarà la fase del “disamore” (non per seguire Pavese, ma per un’evoluzione se vuoi “biologica” delle cose); o forse scriverò su qualcosa che non riguarda la sfera delle emozioni ma soltanto quella dello spirito. Non è da escludere, è un vecchio progetto.

da: www.fabruara.it
Nata il 28 maggio 1949 a Montevideo (Uruguay) da padre inglese e madre italiana, ho fatto lì le scuole. Ho frequentato invece l'Università in Colombia, ottenendo la laurea e il dottorato in Lettere e Filosofia alla Pontificia Universidad Javeriana di Bogotà e un Master in Studi Ispanoamericanistici all'Istituto Caro y Cuervo della stessa città, dopodiché mi sono trasferita a Firenze dove risiedo fin dal 1979. La mia esperienza didattica iniziò molto presto all'Università Javeriana di... martha
Nero cuore dell'alba
Nero cuore dell'alba 1997 88 Le belle bandiere