Le foglie di Carlina appassiscono nel vaso sullo scaffale. La terra del non umano
mi lancia un richiamo. Sono colpevole perché non voglio dimenticare. Sarebbe facile
come il corso frettoloso di uno stormo che taglia il cielo. Mi appoggio contro la finestra
come altri hanno fatto prima di me. Il sapore della frutta, la donna nuda
che mi visita nei sogni: nulla di quello che tocco mi dà più sorpresa.
E l’armonia di una vita immobile non mi aiuta. Una pena diversa
Mi acceca. Vorrei condividerla con qualcuno. Ma con chi ? Se
La sussurro da solo nella notte, la sua eco non saprà ritornare. Se
Ci mettiamo tutti a parlare svanirà, come un’incisione su rame dentro una fornace ardente.
Ma non posso rinunciare. Mia è la paura del fuggitivo che non trova nascondigli
In questa stanza così disadorna. Quando il dio privo di pietà oscurerà il vetro della finestra soltanto
Lo specchio salverà i loro volti. Presterò loro la mia gola per intercettare
L’abbaiare dei cani e l’urlo dei corni da caccia. Non sono capace di vedere me stesso
In altro modo, eppure devo cantare per loro, per trovare la pace nel mio canto, finalmente ricomposto
(da “Grand Hotel Europa”)