Quello che tu hai piantato nel mio midollo, il lo traduco in un linguaggio
Che ancora non ho dominato: la cadenza di un grido che raggiunge
La profondità del cuore, il tuono di un treno sotterraneo,
navate di una chiesa priva di altare, divinità che mormorano nel bacino. Tu:
tu rosa da una conchiglia come scultura fragile dalla fornace
di un soffiatore di vetro. Mi hai insegnato lo spasimo e l’umiltà
prima del vangelo di un profeta interrogativo. E la libertà
di una cerva che salta attraverso i prati di un paradiso assopito.
Non posso raggiungerli senza di te. Posso sentire il crepitio delle castagne
sulle terrazze del mio villaggio. L’asfalto si sta raffreddando. Non mi interessa.
Preferirei piuttosto tremare di piacere, come una casa al limitare del suo restauro,
quando tu canti una nuova melodia. Nell’ora più buia del giorno mi indichi
l’alfabeto del vento e il fato e i semi. Leggo le macchie nella cantina della storia.
So che la mia casa sarà qui, dove tu delimiti il selvaggio giardino.
(da: “Interpretazioni dell’amore”)