Mio, il figlio, non era della guerra,
dei padroni che lasciano ch’io pianga
dietro la porta come un cane, mio,
delle mie mani, del mio petto giallo
ove le mamme seccano sul cuore.
Mio, e del mare che ci lava i piedi
titta la vita, del vestito nero
che m’acceca di polvere se grido.
Mio, il figlio, non era della guerra,
non era della morte e la pietà
che cerco è di svegliare col suo nome
tutta la notte, di fermare i treni
perché non parta, lui, ch’è già partito
e che non tornerà.
Mio, il figlio, e la sua morte mia, la guerra.
I cavalli mi corrano sul petto,
i treni i fiumi ch’egli vide: il fuoco
m’arda i capelli ove la notte sola
alle mie spalle s’accompagna.
Il vento
resti del mondo allucinato, il sale
degli abissi che abbagliano, il lenzuolo
del nostro lutto...