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04/04/2011

Dall’altra parte del tavolo Poesie

Dall’altra parte del tavolo Across the Table
Niente è più bello di una tavola piena di poeti pazzi
- Jack Hirschman



Sto leggendo le tue poesie
e un enorme edificio sgangherato compare, la luce di centinaia di candele
si riversa sulla neve. All’interno al lungo tavolo bolscevichi massicci
come idranti forgiano le loro discussioni con giovani Dostojevsky
e socialisti provenienti da una ventina di paesi.
La pelle nero blu del cantante tuareg brilla con le costellazioni
sahariane mentre lui canta nella lingua del vento,
quella che sua madre gli ha insegnato, quella proibita a scuola.
Un gruppo di poeti solleva i bicchieri di grappa e canta con lui.
All’estremità del tavolo, gli intellettuali assaporano con gusto le sfumature
i riferimenti nascosti e i temi sottesi, qualcuno si lecca le dita.
La donna sudamericana con la voce di un treno che geme
attraversando le piccole città degli scomparsi si piega verso
il sikh e le sue sillabe di Guru Nanak.
La sciamana siberiana crea nel suo canto una maschera di corda
annodata attraverso la quale noi vediamo la processione di animali
sui vasti territori del nord. Una danza di corteggiamento e mele comincia all’alba.
Tre giovani con una stridula colonna sonora gridano simultanee
storie personali di orrori di guerra.
C’è qualcosa nelle caverne del cuore
in cui tutte le canzoni si incontrano,
Bella Ciao, l’Internazionale, il riff jazz e la ninnananna
il dramma di mani sopra un tavolo fra i sordi e quelli che cantano.
La chiave è nel diamante della porta,
aprite, sono io.
Nella poesia che tiene la porta socchiusa,
ah, stavamo aspettando.
- Jack Hirschman


I’m reading your poems
and a huge ramshackle building appears, the light from a hundred candles
spills out on the snow. Inside at the long table Bolsheviks built
like fireplugs hammer out their arguments with Dostoevsky youths
and socialists from a score of countries.
The blue black skin of the Tuareg singer gleams with Saharan
constellations as he sings the language of the wind,
the one his mother taught him, the one forbidden in school.
Poets groped together lift their glasses of grappa and sing along.
At the far end, intellectuals cozy up over the finer points, the hidden
references and underlying themes, somebody licks his fingers.
The South American woman with the voice of a train wailing
through small towns of the disappeared leans in toward
the Sikh and his syllables of Guru Nanak.
The Siberian shamaness creates in her song a mask of knotted
string through which we watch the procession of animals over
the northern vastland. A courtship dance of apples begins at dawn.
Three youths with a shrieking soundtrack shout simultaneous
personal histories of the horrors of war.
There’s something about the cavernous heart
where all songs gather,
Bella Ciao, the Internationale, the jazz riff and the lullaby
the drama of hands over a table among the deaf and the singing.
The key is in the diamond in the door,
Open up it’s me.
In the poem that holds the door ajar,
Ahh, we’ve been waiting.
Raffaella Marzano