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04/04/2011

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Izet Sarajlić
A Izet Sarajlić


Per diversi giorni ho cercato fra le mie carte una vecchia lettera indirizzata a Izet Sarajlić, "scritta il 20 marzo 1996 da Parigi, su una macchina da scrivere che non ha i nostri caratteri". Chissà dove è andata a ficcarsi, si è perduta. Stamattina, tre maggio 2002, a Roma, inaspettatamente l'ho trovata. Così, per caso, rovistando fra le solite vecchie carte che si accumulano sempre di più sul tavolo. Ne sono stato contento e ho deciso di rispedirla a Izet: forse anche lui l'ha perduta di vista nel disordine provocato dalla guerra.
Sapevo che era stato malato, abbiamo parlato al telefono due-tre giorni addietro. Era appena uscito dall'ospedale, si sentiva meglio. Aveva risposto alla mia chiamata dalla camera da letto. Oggi volevo rallegrarlo rispedendogli un mio "pastiche" delle sue poesie. E' un'operazione letteraria di cui quasi nessuno si occupa oggi! Ma proprio nel momento in cui mi accingevo ad uscire di casa, per andare all'ufficio postale a imbucare quel "pastiche", il mio telefono ha preso a strillare. Dal "Krug 99" di Sarajevo ha chiamato il poeta Slavko Santic. "Ieri sera e morto Izet Sarajlić", ha comunicato.
Non so scrivere necrologi. Tutto quello che potrei dire in questo momento sta scritto in quella lettera battuta sulla macchina da scrivere che non ha "i nostri caratteri". Il titolo e il post scriptum erano stati scritti già allora.

LE ROSE DA TÉ

Raramente ho regalato rose. Mi dispiace coglierle e per molto tempo non sono stato in grado di comprarle dal fioraio. Nella nostra infanzia, caro Izet, di fiori ce ne sono stati pochi. Nei campi e sui pascoli crescevano soltanto fiori selvatici.
Nel corso della guerra, la seconda guerra mondiale intendo, quella che fu meno terribile dell'ultima abbattutasi sul nostro paese, a Mostar si soleva portare agli amici, nelle visite, un cartoccio di zucchero o di caffè al posto di un mazzo di fiori. (Hatidza, mia vicina di casa, una cara donna alla quale mi affidavano quand'ero bambino, mi disse che quel dono si chiamava "pesces" o "peskes"). In seguito, quando non ci fu più penuria e c'era di tutto di più, talvolta abbastanza, mai troppo, solevamo portare al vicino di casa o all'amico, a Mostar come a Sarajevo, una o due mele, oppure arance, per i bambini e gli ammalati.
Mia nonna Vida, donna laboriosa e onestissima, originaria di Citluk, ci teneva ai doni da portare nelle visite. La ricordo per le cose buone che mi ha insegnato. Diceva: "Questa è l'usanza, figliuolo: non puoi andare dal vicino di casa o dall'amico senza il peskes", il dono.
Eh già, caro Izet, per noi le rose erano un lusso.
A Sarajevo, quando sono venuto a farti visita e per rivedere i nostri amici colpiti dalla sventura della guerra, ho visto che mani laboriose avevano piantato nei cortili e sui balconi, insieme a verze e cipolle, anche qualche fiore.
Erano rarissimi i fiori nel quartiere di Bembascia lo scorso inverno, quando su di voi sparavano i mortai e i cannoni da Pale. Né c'erano fiori sulle tombe, solo qualche mazzolino qua e là.
Quando tornerò nuovamente nella tua città, andrò alla ricerca e certamente troverò da qualche parte un bel mazzo di quelle rose che una volta i Russi chiamavano "rose da té". In silenzio ce ne andremo al cimitero dove riposano le tue due sorelle, le hai perse ambedue in questa maledetta guerra. Andremo a trovare Razija che ho conosciuto ed alla quale volevo bene, e Nina che non ho mai incontrato. Lasceremo le rose da té sul loro guanciale. Ci sforzeremo di non piangere, non sta bene che vedano i nostri occhi piangere.
Mi hai scritto dicendo di essere abituato da sempre ad essere fratello. Adesso, ecco, sei rimasto senza le sorelle. Come farai? Se hai bisogno di un fratello, io sto qua, caro Izet. Lo sai, anch'io ho pianto per il tuo fratello maggiore Eso e per i suoi compagni "nati nel 1923, fucilati nel 1942", come dice il titolo di una tua poesia.
(Come vedi, ho tentato di imitare lo stile delle tue poesie, ma non va. Solo tu ci riesci bene).

P.S.
Hanno vinto loro, "quelli che odiano" come tu li chiami e citi per nome nel tuo ultimo libro. Certo, hanno vinto, ma non su tutta la linea: non sono riusciti a separare i Sarajlic dai Matvejevic, noi e la nostra umile gente. Non formiamo la maggioranza, è vero, ma questa non è la cosa più importante. Non eravamo maggioranza nemmeno prima. E non ci serve la maggioranza. Non siamo nemmeno abituati a vincere. Che ce ne facciamo della vittoria? Quanto ai tuoi libri "li passo avanti". Il tuo

Predrag Matvejevic
Izet Sarajlić nato a Doboj nel 1930, è scomparso a Sarajevo il 2 maggio del 2002. Laureato in lettere alla facoltà di filosofia di Sarajevo, inizia a scrivere nel primo dopoguerra. Nel 1954, fonda il “Gruppo 54” che dà inizio alle nuove correnti di poesia moderna in Bosnia-Erzegovina. Negli anni ’60 e ’70, anima diversi gruppi di poeti ed edizioni di poesia. Tra il 1962 e il 1972 si occupa del festival “Giornate poetiche di Sarajevo”. Dopo il primo libro di poesie (1949),...
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