Uroš Zupan (1963) è originario di Trbovlje. Una cittadina mineraria per un “minatore del Mistero”. Che Zupan indaga venerando un mito: la poesia. “È l’unica mia vita”, confessa, “…e quando più / vince lei, tanto più perdo io.”. Octavio Paz ha scritto: la poesia è padre e madre, Dio e diavolo, la grazia più grande e la pena più infinita. Zupan gli annuisce: soltanto “i versi misurano il tempo, padre, il mio, il nostro tempo, / unici a collocare paracarri sul nostro passaggio.”
LA vita è di conseguenza una e bina per il poeta. Da una parte c’è il mondo: vuoto, caotico, manageriale, pragmatico e banale; con le sue fabbriche, gli uffici, le “scrivanie opprimenti”, la società, le istituzioni, l’apparenza. Dall’altra c’è la poesia: Cosmo e sostanza, Verità e Bellezza. In mezzo c’è l’abisso. Un pozzo interminabile dove vive l’uomo. Quando più precipita verso il fonso, tanto più è poeta. La lirica nasce per Zupan da questa insanabile ferita metafisica, E non è più – come per i postmoderni – artismo verbale, alchimia linguistica, ma essenza esistenziale, alchimia del cuore.
“Per come la vedo io,” ammette Zupan in un’intervista, “La poesia è / …/ uno dei modi per avvicinarsi alla luce, al fulgore eterno che è probabilmente Dio.” Via alla perfezione, dunque. Ricerca dell’Assoluto. Ma come arrivarci? Con quale mezzo?
Pound ha scritto: la letteratura è lingua, empia di significato. Zupan aggiunge: la poesia è lingua, empia di emozione. Ecco allora: è così che va ricercato l’Assoluto! Attraverso la lingua. Secondo Zupan è la lingua del kosoveliano “razzo rosso” che porta a Dio. Già, ma quale lingua? Il poeta dice: trasparente, comprensibile, cristallina. La lingua di Hölderlin, Rilke, Apollinaire, Celan, Miłos, Eliot, Whitman, Williams, Ginsberg, Vallejo, Blake, Pavese… Perché quando si getta nel mare la bottiglia con il messaggio al lettore occorre indicare pressappoco la spiaggia dove approderà.
E allora la scelta strutturale, stilistica o formale diviene obbligatoria per Zupan: versi fluenti, scorrevoli, “galoppanti”, “lunghi e selvaggi”; metafore genitive che spiegano, chiariscono; iterazioni che, sottolineando, regalano al discorso un nobile pathos; non più l’ego frazionato di Šteger, ma l’identità assoluta tra io narrante e biografico; temi, motivi e contenuti noti ma sempre nuovi (il dialogo col padre di Salmo-Magnolie nella neve d’aprile ad esempio ha come illustre predecessore la celebre poesia Mon père di Kajetan Kovic); ermetismo bandito; liriche che vogliono raccontare, comunicare e che assicurano di conseguenza all’autore consensi critici, plauso del pubblico, feed-back editoriale.
Questa è la poesia di Uroš Zupan. L’alba dopo il crepuscolo del postmodernismo. Un nuovo capitolo della lirica slovena. Che prosegue però l’antico romanzo di sempre. La leggenda di Parsifal. L’eterna ricerca del santo Graal.
Miran Košuta
in: “Nuova poesia slovena”, a cura di Michele Obit, ZTT EST, Trieste, 1998.
Uroš Zupan, nato nel 1963 Trbovlje, si è laureato in letteratura comparata all’Università di Lubiana. Autore di liriche e saggi letterari; è traduttore dall’inglese e dal serbo–croato. Le sue raccolte poetiche sono: "Sutre", "Reka", "Odpiranje Delte" e "Nasledstvo". Sue poesie sono tradotte in inglese. Attualmente, Zupan vive a Lubiana dove è attivo all’interno della collana di libri “Beletrina” e lavora come scrittore free-lance. Recentemente ha vinto il premio Jenko per la...