Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011

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Nicole Brossard
PAROLE PER RINASCERE

Intervista di Rosanna Fiocchetto a Nicole Brossard
Quali eventi o consapevolezze hanno generato la tua passione politica?

Ho fatto i miei primi interventi politici a scuola, protestando contro “la santa Chiesa cattolica” e il potere dei preti. Poi, da giovane adulta, come molti della mia generazione, mi sono battuta per un Québec di lingua francese, indipendente, socialista e laico. Appartengo a una generazione che ha avuto la fortuna di vivere i suoi vent’anni partecipando alla “rivoluzione tranquilla” che ha consentito al Québec di trovare la propria identità e di inscriversi come moderna società francofona nord-americana. In seguito, verso il 1973, tutta la mia energia politica è andata dalla parte delle donne. Fenomeno interessante: nello stesso momento, per la prima volta, ho investito la mia passione politica nella mia scrittura. Prima avevo sempre dissociato il mio impegno politico dalla mia pratica di scrittura; con il femminismo, la passione politica e il corpo della scrittura si sono sincronizzati.

Hai detto che scrivere, per te, è un atto di desiderio, di passione. Ma hai aggiunto che scrivi per “seminare il dubbio”. Rispetto a quali certezze?

Ho detto che scrivo soprattutto per “seminare il turbamento” nel lettore e nella lettrice. Per seminare il dubbio nelle certezze borghesi che, per me, rappresentano la noia, la banalità, la linearità. In effetti, scrivo per rifiutare la stupidità, la mediocrità e l’incoscienza. Questo ha avuto un particolare riflesso a livello stilistico nei testi che ho scritto tra il 1968 e il 1974. Credo che le difficoltà di un testo (sintassi non abituale, rottura del significato, sovversione dei generi) creino un disagio di lettura che costringe i lettori e le lettrici a fermarsi e ad interrogarsi. Questa pausa può modificare la coscienza. Tra l’altro, scrivo per seminare il dubbio e il turbamento perché tollero a malapena i libri che rafforzano lo status quo, i luoghi comuni, l’incoscienza. Per me, i libri sono spazi di riflessione.

Nei tuoi testi tendi ad abolire i confini tra i generi tradizionali con la tecnica della fiction théorique, che fonde poesia, romanzo, filosofia, autobiografia, immagini. La semiologa Teresa de Lauretis la definisce “una pratica di scrittura-al-femminile sperimentale” mirante a creare “nuove mediazioni discorsive tra il simbolico e il reale, tra linguaggio e corpo”, e individua la sua genesi nella ricerca di Virginia Woolf. Sei d’accordo?

Si’, si può affermare senza dubbio che Virginia Woolf è stata la prima e non per caso: il fatto che sia stata femminista ha creato una grande differenza. Non sono certa che generalmente la scrittura delle donne faccia esplodere i generi. Invece sono certa che la coscienza femminista, come l’emozione lesbica, facciano esplodere i generi tradizionali. Perché nella misura in cui la coscienza femminista modifica la nostra lettura della realtà, integra gli elementi biografici nella trama del discorso e ci obbliga a rivalutare il nostro rapporto con il mondo e il nostro posto nel mondo, questa coscienza ci obbliga a ricorrere a rituali e strategie di scrittura che trasgrediscono e modificano l’uso che facciamo del poetico, del narrativo e del teorico. Nella misura in cui la coscienza femminista interviene radicalmente nel simbolico, nell’immaginario e nel reale patriarcali, noi non possiamo più comportarci nello stesso modo nel linguaggio. La coscienza femminista forza in noi delle “rivelazioni” che non possono essere enunciate rispettando la convenzione dei generi. Sapendo che il linguaggio ci intrappola, poiché il femminile è sempre marginalizzato, interiorizzato o cancellato, dobbiamo fare ricorso a strategie e posizioni di scrittura che ci permettano di inscriverci come soggetti nel linguaggio. Dobbiamo nello stesso tempo: ripulire il linguaggio dalle sue menzogne sulle donne, inscrivere la nostra versione della realtà, esplorare le dimensioni impensate dell’umano.

Quali sono le scrittrici e gli scrittori del passato che ti hanno trasmesso la passione per le parole? E quali scrittrici contemporanee senti più vicine?

Mallarmé, Blanchot e Barthes hanno certamente nutrito la mia passione delle parole e la mia passione per la scrittura. Gertrude Stein, Djuna Barnes e James Joyce mi hanno ispirata, stimolata, provocata. Clarice Lispector mi affascina ancora per l’estraneità e la bellezza della scrittura. Più vicino a me nel tempo, direi che in generale chiunque mostri la lingua alla letteratura, chiunque accarezzi la lingua con la sua lingua di scrittura, chiunque esplori, s’interroghi e muoia un poco ogni volta per la complessità della vita, m’interessa. Amo essenzialmente le poete e le filosofe, le ludiche e le esploratrici, coloro che sanno che in una lingua ci sono parole per rinascere.

Cosa vuoi dire quando affermi: “Se non c’è gioco nella scrittura, c’è ideologia”?

Ho semplicemente voluto dire che una scrittura che pretende di dire senza tremare, senza scherzare, senza giocare, senza far esplodere la lingua, non può che ripetere l’ideologia dominante, o al meglio proporre qualche variante a questa ideologia. E’ proprio delle ideologie non rimettersi in questione. Le ideologie sono come poesie estinte. Per esempio, preferisco di gran lunga l’espressione “pensiero femminista” a “ideologia femminista”, perché nel pensiero c’è movimento, creazione; nell’ideologia c’è ridondanza, rigidità, slogan.

Ciò che colpisce in modo primario nella tua scrittura è l’intensità. Da dove viene questa energia, e attraverso cosa passa?

Energia, intensità, desiderio sono per me parole chiave. Sono parole che associo alla creatività. E per me la creatività è la capacità che abbiamo di elaborare attraverso il linguaggio il nostro sapere, le nostre certezze, la nostra memoria, le nostre energie mentali e sessuali, in modo da avere e da dare accesso ad angoli inediti della realtà. La questione del desiderio per me è essenziale, perché il desiderio è movimento, progetto. Stimola l’immaginazione, acuisce le nostre sensazioni, provoca emozioni forti, tiene all’erta il pensiero. L’energia del mio desiderio ha il suo medium nelle donne, nei libri, nella stessa creazione e soprattutto in una instancabile ossessione di voler comprendere le leggi che distribuiscono una parte dei nostri desideri nella finzione, l’altra nella realtà.

Ne "L’Amèr" del 1977, hai avvertito le lettrici con una chiarezza veramente insolita: “Se non fosse lesbico, questo testo non avrebbe senso”. Perché?

Credo che ci siano, in ciò che organizza la coerenza del nostro discorso, una intenzione, delle immagini e una identità primaria da cui derivano tutte le nostre proposizioni e la rappresentazione che facciamo del mondo. "L’Amèr" non sarebbe lo stesso libro se fosse stato scritto da una prospettiva eterosessuale. E’ la questione del valore che è in causa. Per esempio, la prospettiva lesbica è cosi’ sovversiva perché focalizza simultaneamente l’attenzione sulle donne come soggetti d’identità, d’interesse e di desiderio, e ciò ha l’effetto di valorizzare le donne in generale, di renderle significanti e presenti allo spirito qualunque sia il contesto.

Hai espresso spesso un radicale rifiuto del legame patriarcale madre/figlia. In particolare, hai scritto: “L’origine non è la madre, ma il senso che io do alle parole; e, originariamente, io sono una donna”. E’ un rifiuto di simbolizzare la genealogia femminile?

Sappiamo molto bene che in un contesto patriarcale la madre è uno strumento di trasmissione dei valori patriarcali, e che questi stessi valori non solo interdicono una genealogia femminile, ma contribuiscono ad isolare ogni figlia nel labirinto dei valori patriarcali. Anche ogni donna è obbligata ogni volta a scegliere tra la genealogia maschile o inventare la sua propria donna simbolica e anche diventare nello stesso tempo figlia-madre. Donne come Virginia Woolf, Monique Wittig, Mary Daly o Louky Bersianik possono essere considerate madri perché da esse ha origine un significato che ci riguarda tutte. E’ questo legame a essere vitale per noi, ed è il solo che possa dare inizio a una continuità feconda.

Ne "La lettera aerea" hai rappresentato la cultura al femminile come una spirale che rischia di chiudersi se rispetta le frontiere del significato. Hai l’impressione che in questa fase storica la spirale si stia aprendo o chiudendo?

E’ una questione difficile. Da un lato, le femministe sono finalmente andate al di là delle rivendicazioni consentite dalle società liberali (uguaglianza e giustizia sociale). Penso anche che abbiamo bene identificato i meccanismi di alienazione e di dominazione delle donne e che, nel corso degli anni, ci siamo date una biblioteca di madri, spazi di lavoro e di celebrazione. Se dipendesse solo dalle femministe radicali e dalle lesbiche femministe, la spirale si amplierebbe sempre di più. E’ anche certo che molte delle donne che non sono femministe non accetterebbero più di tornare indietro su alcune questioni, come l’aborto, l’educazione, il lavoro. Tuttavia, trent’anni di femminismo radicale sono pochi nel tempo patriarcale e niente è stato veramente cancellato della misoginia, del fallocentrismo e del sessismo. Inoltre, si constata in generale che i discorsi e gli atti anti-femministi aumentano proporzionalmente al successo del femminismo, il che non è affatto rassicurante. Ciò detto, sono convinta che l’apertura della spirale dipende innanzitutto dall’energia che le donne si scambiano tra loro, oltre che dal riconoscimento e dalla legittimazione che ci accordiamo reciprocamente.

DA: Conversazioni, in TUTTESTORIE n.1, dicembre 1990.


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ROSANNA FIOCCHETTO SU NICOLE BROSSARD

Nata a Montréal nel 1943, Nicole Brossard pubblica il suo primo libro a 22 anni. A partire dalla raccolta Le Centre blanc (1970) iscrive nella sua ricerca una originale autenticità creativa: “una volta terminato il libro, ho capito che era impossibile dire l’essenziale. Ciò ammesso, ho capito che potevo dire tutto”. Negli anni Settanta-Ottanta Brossard è diventata una delle più interessanti protagoniste del rinnovamento letterario canadese e della scrittura femminista con una serie di testi ad altissima tensione sperimentale: poesie, romanzi, saggi, testi teatrali, cinematografici, radiofonici, ed una grande quantità di articoli ed interventi. E’ quindi una scrittrice “a tutto campo”.
Sono particolarmente orgogliosa di aver pubblicato in italiano insieme a Liana Borghi La Lettera aerea – cosa di cui dobbiamo ringraziare Giovanna Tatò della Felina Libri, che ha “passato” questo libro ad Estro dopo aver svolto gran parte del lavoro editoriale – perché mi sembra molto significativo della storia di poeta e di scrittrice di Nicole. Infatti La Lettera aerea raccoglie dodici testi scritti nell’arco di dieci anni, dal 1975 al 1985. E’ come una lunga traiettoria di pensiero attraverso la scrittura. Questi testi sono intervallati da frammenti di opere scritte nel frattempo: testimonianze di un percorso che consente di cogliere – ed è ciò che vorrei fare in questa presentazione – come si evolvono alcune parole-chiave del discorso poetico, narrativo e teorico di Nicole.
Queste parole-chiave sono: scrittura, corpo, desiderio, godimento, amore tra donne, essenziale. Parole-chiave tra loro interconnesse, e tutte inestricabilmente legate alla prima di esse: la scrittura.
Sin dal testo iniziale del libro, Nicole evoca in modo estremamente intenso l’immagine di una scrittura desiderante e desiderata. Scrivere è “realizzare il desiderio che si realizza quasi”; e scrivere è desiderabile in quanto implica “memoria, potere di presenza e proposta”.
Ma liberare il desiderio, per una donna, e per una donna che scrive, significa contemporaneamente aprire il conflitto con un mondo e con un sistema di linguaggio patriarcali strutturati sulla repressione del desiderio femminile. La scrittura desiderante è dunque anche una scrittura guerriera: “quando scrivo, lo faccio in lotta e per la mia sopravvivenza”, afferma Nicole, che definisce esplicitamente i propri testi una “scrittura di combattimento”.
Se questa è una necessità che accompagna costantemente la scrittura radicale, la sua vera progettualità tende invece a distaccarsene. Nell’itinerario di Nicole, il senso della scrittura si chiarisce attraverso il tempo come coscienza che opera nel campo dell’immaginario per imparare a pensare l’inimmaginabile, partendo dalle proprie certezze interiori e dalle realtà di cui siamo riuscite ad avere una “visione tridimensionale”. Cosi’ il senso della scrittura e il senso della lettura diventano “un sesto senso all’opera nella vita delle donne”. Cancellato e reso inoperante nel sistema patriarcale, questo “sesto senso” è ormai maturo per operare sostanziali modificazioni nella realtà e nell’immaginario. Nicole lo paragona ad un sintetizzatore musicale, cioè ad uno strumento di trasformazione che “permette di sperimentare la realtà sotto angoli diversi, mobili, e di fare sintesi dei loro contrasti”.
Il testo diventa un organismo vivente che occorre vivere, far vivere e sognare, cosi’ come si vive e si sogna la vita; un organismo che consente di moltiplicare “gli apprendimenti di ciò che è il proposito di ogni esistenza: il godimento e il pensiero”. Nell’esperienza e nella visione di Nicole, la pratica della scrittura coincide innanzitutto con un indispensabile processo di liberazione individuale: “Per scrivere occorre essere soggetto in movimento e in ricerca. Per scrivere occorre prima appartenersi”, dice. Altrimenti, si è “un corpo di storie per interposta persona”.
Corpo di scrittura, scrittura del corpo. Il corpo è un elemento-chiave della dimensione teorica di Brossard. E’ un “corpo pensante”, e dunque dotato di un “potere sovversivo”. Far passare il corpo femminile nella scrittura significa “scansare i trucchi, le evidenze, gli effetti del condizionamento”; significa opporsi alla “lettera sapiente” del patriarcato. Riconoscere il proprio corpo di donna come un corpo che sa, implica fondare un sapere e un pensiero sessuato e sensuale, rivendicarne l’autonomia e l’auto-appartenenza: “Il mio corpo resiste e scrive… Il corpo mio è la mia differenza e la mia sola unità di misura del piacere e del dolore”.
Questa coscienza è lucida e profonda in Brossard, e si identifica con la sua fonte creativa: “L’immaginazione passa per la lingua e per la pelle. Tutta la superficie della pelle”.
Ma questa coscienza è anche alla base del suo progetto politico di scrittura, e indica il senso dell’intervento storico della scrittura delle donne: “Intervengo nella storia del mio corpo attraverso le sue memorie, gli atti di raccoglimento: la sua riflessione”. Il corpo, insomma, rappresenta lo strumento insostituibile di identificazione con se stessa e con il proprio genere: “Il corpo femminile, a lungo irrigidito nel ghiaccio del sistema di interpretazione e dei fantasmi che il sesso patriarcale non ha smesso di rinnovare, attraversa oggi, nel suo avvicinarsi ad altri corpi di donne, le dimensioni inedite che lo restituiscono alla sua realtà”.
E le “dimensioni inedite”, in questa suggestiva immagine del disgelo, sono soprattutto il desiderio e il godimento. Il testo, per Nicole, è una ricerca del “corpo goditivo”, perché “se io godo, rovescio qualcosa del mio equilibrio, del ruolo che mi arruola”. E il godimento, cosi’ come il desiderio, sono legati all’incontro con se stessa e con l’altra: “Se desidero una donna, se una donna mi desidera, c’è inizio alla scrittura”. Il desiderio nasce “dove trova l’indizio del desiderio dell’altra donna”. Ma questo inizio, questa epifania, deve trovare un alfabeto in cui articolarsi, una forma culturale e politica. E questa forma non può fare a meno di divergere, di deviare dal senso stabilito, dal “mondo patriarcale sul quale sono iscritte tutte le leggi che ci separano da noi stesse, che ci isolano dalle altre donne”.
“Una lesbica che non reinvesta il mondo è una lesbica in via di sparizione”, afferma Nicole. E aggiunge: “L’amore folle tra due donne è talmente inconcepibile per lo spirito che per parlarne o per scrivere quello in tutte le sue dimensioni, occorre quasi ripensare il mondo per capire quello che ci succede. E non possiamo ripensare il mondo che con parole. Quindi l’amore lesbico mi sembra essere intrinsecamente un amore che supera largamente la cornice dell’amore”.
Vivendo questo amore che esce dalla cornice stabilita, che esplora, che ricerca, che crea nuovi sensi, le donne amanti si muovono in un nuovo spazio, uno spazio che non è un vuoto ma è “spazio fra noi”, “un centro denso”.
E’ uno spazio essenziale, ed è lo spazio dell’essenziale. Il concetto di essenziale ha una grande rilevanza nel pensiero di Nicole e pone il problema, contemporaneamente, del senso e della strategia della scrittura. L’essenziale “si esplora senza parole”, ma abbiamo bisogno delle parole per non essere più “analfabete del desiderio”, per creare una “comunità di spirito” tra le donne e per costruire nuove realtà. Se le donne scrivono “con la coscienza sempre più chiara che non possono scrivere camuffando l’essenziale, cioè che sono delle donne”, l’esistenza ontologica delle donne, l’essenziale femminile e lesbico, non può più continuare ad essere inammissibile, impensato e rimosso nel non senso. Possiamo invece cominciare a proiettare, con le nostre strategie di trasgressione o di invenzione, l’immagine che “desideriamo di noi come una presenza al mondo”.
Concludo con una bella e luminosa visione di Nicole: “L’essenziale è ciò che c’è dall’altra parte della linea semantica del patriarcato e quello dobbiamo immaginarlo, con i nostri corpi raggianti e tridimensionali, archi vivi come di città fluorescenti nella notte patriarcale”.




NICOLE BROSSARD:

Vorrei prima di tutto scusarmi di non parlare italiano e poi vorrei ringraziare le mie editrici Rosanna Fiocchetto e Liana Borghi, che hanno scelto di tradurre il mio testo.
Rosanna ha ragione quando dice che il mio lavoro nasce dalla necessità di una riflessione sulla lingua e sulla scrittura. Per me scrivere è una scommessa, un atto di presenza significativa nello spazio semantico, immaginario e simbolico. E’ tramite la scrittura che si possono rendere compatibili esperienze, sogni e utopie. Non è cosi’ semplice, perché la lingua che utilizziamo quotidianamente non è una lingua che accoglie volentieri il soggetto donna desiderante. Certo, la lingua ha accolto la testimonianza della madre, dell’amante eterosessuale, ma mai la lingua accetta una donna come soggetto desiderante. In effetti si può dire che la lingua non conosce donne se non quelle delle menzogne patriarcali che si sono accumulate attraverso i secoli. Dunque lavorare la realtà è lavorare nell’opacità del senso patriarcale, interrogandosi nello stesso tempo su di essa, poiché la realtà è costituita unicamente dalla soggettività maschile attraverso i secoli, avvenuta sulla pubblica piazza attraverso le istituzioni, le tradizioni, le religioni, le lingue. Questo ci obbliga a distinguere bene ciò che appartiene all’umanità da ciò che appartiene all’orgogliosa, megalomane e misogina soggettività maschile; e rende necessari dei rituali e delle strategie di scrittura.
Il primo rituale è quello che le donne usano per darsi la parola, per prendere la parola, ciò che chiamo il rituale con tremore. Con questo tremore è tutta la memoria, anche la memoria dell’infanzia, che risorge. E si possono vedere donne che tremano un giorno, un mese, due mesi, qualche volta tutta la vita.
Un altro rituale è il rituale con choc. E’ quando tutta la soggettività di una donna incontra quello che è stato iscritto dalla soggettività maschile nella parola stessa. Allorché queste due soggettività entrano in contatto, lo choc fa scoppiare il senso della parola. E’ un momento assai pericoloso, perché si può credere che, all’improvviso, la parola non abbia più senso. Ma non si può iscrivere la propria soggettività, la propria prospettiva sulla realtà se non vivendo questo momento di choc. E’ questo che ci permette di iscrivere la nostra prospettiva della realtà, il nostro sguardo.
L’altro rituale lo chiamo rituale con scivolamento. Si sa che la vita di una lingua si gioca molto di più su ciò che è connotato che non su ciò che è denotato. Dunque la vita di una lingua è nell’aura delle parole. Quanto l’altro rituale era pericoloso, il rituale con scivolamento è difficile, perché esige molta concentrazione e anche molto intervento sulla sintassi. Perché anche se a volte si può cambiare qualche parola nella lingua, non si può cambiare tutta la lingua, bisogna utilizzare le stesse parole. Questo rituale ci permette, usando le stesse parole, di far scivolare, slittare il loro senso in modo radicale.
Il quarto rituale è il rituale con respiro. E’ un rituale che applico particolarmente alla poesia, perché in questo rituale si è, direi, completamente nude davanti al mondo. Se si fa della prosa, ci si può nascondere dietro dei personaggi, se si fa teoria ci si può nascondere dietro delle idee, ma nella poesia non ci si può nascondere, si è in relazione diretta con l’universo. Il rituale con respiro è un rituale che permette di trovare il giusto tono della voce. In genere si parla troppo ad alta voce o troppo a bassa voce, troppo velocemente o troppo lentamente, e cosi’ si maschera quello che avviene, quello che si gioca all’interno di noi stesse.
Sto abbreviando molto, perché voglio darvi la parola in modo che mi facciate delle domande. Ma vorrei aggiungere ancora qualcosa. Hanno detto spesso della mia scrittura che è alla frontiera tra il femminismo e il lesbismo. In effetti mi sono posta la questione: quando scrivo i miei testi, chi li scrive? La femminista, la lesbica, o la creatrice? Certo scrivono tutte insieme e firmano con il nome di Nicole Brossard. Ma la femminista ha assunto certi compiti, e cosi’ le altre.
Ad esempio, la femminista scrive molto con l’energia della collera e della rivolta. Legge tutto quello che è stato fatto alle donne e deve sollevare ad una ad una tutte queste colpe, deve sciogliere i nodi delle menzogne. Il problema è che la femminista è molto morale, molto responsabile, e questo la mette sotto una doppia costrizione. Come funziona questo sistema patriarcale, come mai è diventato cosi’ potente? Rifiutando la dualità; gli uomini hanno trovato una tecnica per rifiutare la dualità degli uomini e delle donne. In verità sono due tecniche: una nella quale si iper-valorizzano, ed è ciò che chiamiamo fallocentrismo; e l’altra è l’inferiorizzazione della donna tramite la misoginia. Il risultato è ciò che chiamiamo il sessismo ordinario. Davanti a ciò la femminista si ritrova con un problema: se da un lato valorizza le donne, non può sopravvalutarle; se dall’altro discredita gli uomini, non può interiorizzarli. Il che significa che ogni uomo beneficia di un nostro dubbio ontologico, di una immunità ontologica che gli permette di continuare il suo lavoro di sessista. Dunque la femminista si trova incastrata in questo circolo vizioso, perché da una parte rifiuta l’oppressore, dall’altra parte è obbligata ad includerlo in quanto facente parte dell’umanità.
Ed è qui che il lavoro della lesbica è molto importante, perché consente di rompere il circolo vizioso della doppia costrizione. Perché la lesbica osa delle affermazioni, delle proposizioni, prende dei rischi, perché il suo desiderio dell’altra donna, delle altre donne, è molto grande. E’ tramite il suo desiderio che la lesbica è sempre focalizzata, sempre concentrata sulle altre donne. E direi che si concentra sulle altre donne a tre livelli: non solo come soggetti di interesse e come soggetti di identità (cose, queste, che può fare anche la femminista), ma anche come soggetti di desiderio. Quest’ultima dimensione è aggiunta dalla lesbica. E ciò modifica tutto il suo rapporto, tutta la sua motivazione e la sua energia. Quando la femminista non trova le parole, la lesbica osa.
E quando la lesbica non trova a sua volta le parole, è la creatrice che elabora, e trasforma la memoria, la collera, l’emozione, il desiderio, attraverso la lingua. S’intende che nella creatrice c’è l’individua, la mia materia biografica. Ad esempio mi piace il mare e non la montagna, mi piacciono i capelli neri e non quelli biondi, e tutte le ossessioni personali. La mia ossessione più grande è appunto quella della lingua, del linguaggio, della creazione.
Ma ora ho parlato abbastanza e vorrei che mi faceste delle domande.



Questi interventi e il successivo dibattito sono stati pubblicati nell’opuscolo “Scrittura e desiderio – Incontro con Nicole Brossard”, CLI, Roma 1990.
Nicole Brossard è nata a Montréal. Poeta, romanziera e saggista, due volte vinitrice del premio del Governatore generale per la sua poesia, Nicole Brossard ha pubblicato più di trenta libri dal 1965. Molti di questi libri sono stati tradotti in inglese: Mauve Desert, The Aerial Letter, Picture Theory, Lovhers, Baroque at Dawn, The Blue Books, Installations, Museum of Bone and Water e più recentemente Intimate Journal e Yesterday, at the Hotel Clarendon. È cofondatrice e codirettrice della... nicole-brossard-3