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04/04/2011
Tessera Tessera
Il nome che porto come lo zaino del contrabbandiere
È di uno zio, lui Hary, Erri io.
Nell’estate del sessantasei volevo diventare
il legno di faggio di una sedia a sdraio
dove posava il corpo illuminato a gocce la ragazza.
Sono stato il due di spade e il niente di denari,
operaio salariato e anche gratuito.
Sono stato un lardo di malaria,
dieci chili deposti a scolare su branda,
un odore di gomma nelle ascelle,
sette gradi di là dell’equatore e quarantuno in corpo.
Lì denunciai un serpente verde sotto una pietra,
l’hanno ucciso. Non ho avuto filgi.
Per complimento una donna mi ha detto: che bel sangue ti esce
Era rosso, rissoso, con le bollicine, ubriacato di ossigeno.
Amo il la minore in musica, lo strapiombo in parete.
Di tutta la macchina dell’amore ho preferito i baci,
il primo, quello dopo, qualche altro non contato.
Molti amici in prigioni e negli esili
scontano in novecento anche per me.
Nell’orecchio è rimasto qualche sparo vicino.
Alla mano basta una sera per dimenticare,
il resto di me no.


(da: “Opera sull’acqua”, Einaudi, 2002).