NEDIM GÜRSEL: “IO SONO UN PONTE TRA EST E OVEST”
intervista allo scrittore turco
Non è certo il primo scrittore che viva all’estero. Ma Nedim Gürsel, uno dei più grandi scrittori turchi viventi, ama pensarsi come un ponte: non solo tra i due Paesi, ma anche tra oriente ed occidente. Fuggito dal suo Paese dopo il colpo di Stato del 1980, ora è cittadino francese e vive a Parigi, dove è direttore delle ricerche al CNRS e tiene conferenze sull’Europa, come quella di qualche giorno fa alla Sorbona. In Turchia, in questi giorni, è sotto processo per blasfemia, a causa del suo romanzo “Le figlie di Allah”, uscito l’anno scorso. Rischia fino a due anni di carcere: il pubblico ministero ha già chiesto l’archiviazione, ma restano alcuni interrogativi. Nedim Gürsel ha accettato di parlarcene.
euronews: In Europa ci si chiede se la Turchia sia veramente un Paese laico, e se meriti di essere integrata all’Unione europea. Che ne pensa?
Nedim Gürsel: Beh, io sono un fervente sostenitore dell’integrazione del mio Paese nell’Unione europea. Ora, con questo processo, mi faccio qualche domanda. Non è che in Turchia si stia andando verso un regime molto più autoritario? Evidentemente, questo non sarebbe compatibile con il desiderio d’Europa che la Turchia sta mostrando. Ma spero che il mio processo sia solo un incidente di percorso. In ogni caso credo che l’Europa abbia ragione a farsi qualche domanda, perché la Turchia, forse, oggi non è pronta a un ingresso nell’Unione europea.
euronews: Non c‘è, forse, anche una responsabilità dell’Unione europea, o piuttosto degli europei? In effetti molti turchi dicono di sentirsi in qualche modo disprezzati dagli europei, e parlano di una sorta di “club cristiano”
Nedim Gürsel: Sì, credo che questo rifiuto venga preso male da parte dei turchi, anche perché in qualche modo lede il loro orgoglio nazionale. Io sono contro il nazionalismo. Ma è da molto che la Turchia bussa alla porta dell’Unione europea, e si trovano sempre dei pretesti per giustificare un discorso – diciamo – di rifiuto. Come fanno per esempio ora Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. La Turchia è un Paese musulmano. Ma se la Turchia condivide i valori europei, sarà un arricchimento per l’Europa averla dentro di sé. Solo che per gli europei è difficile ammetterlo. Non lo dicono, ma con la candidatura della Turchia l’Europa si guarda allo specchio. Cioè, l’Europa crede di affermare la propria identità respingendo l’altro, rappresentato dalla Turchia: ma alla fine deve esserci una riconciliazione.
euronews: In effetti, negli ultimi anni si sono registrati notevoli progressi in Turchia, nel senso di una maggiore libertà d’espressione. È stata restituita la cittadinanza al poeta Nazim Hikmet, e l’anno scorso è stato anche riformato il famigerato articolo 301, che punisce chi denigra la nazione turca. Ma ci sono organizzazioni e semplici cittadini che denunciano quelli che, secondo loro, sono semplici ritocchi, non vere riforme. È d’accordo con loro?
Nedim Gürsel: Lei ha fatto bene a ricordare anche il caso di Nazim Hikmet, uno dei più grandi poeti turchi. La Turchia aveva commesso una grande ingiustizia contro questo grande poeta, incarcerandolo per sedici anni e poi costringendolo all’esilio. È morto a Mosca, nel ’63. Il nostro primo ministro, che recentemente ha detto che Nazim Hikmet è stato riabilitato, ha detto anche che la Turchia non è più un Paese che processa i propri scrittori. Evidentemente, sono stato uno dei primi a esserne contento. Ma allora, il processo a mio carico è una smentita evidente. Dunque, c‘è chi dice che sono ritocchi di poco conto, non vere riforme. Può darsi, ma tanto meglio, bisogna andare più in là nella democratizzazione della Turchia, e senza la prospettiva europea questo non sarà possibile.
euronews: Lei è tra quelli che hanno firmato la lettera di scuse agli armeni, scritta da un gruppo di intellettuali turchi. Ora, c‘è chi critica questa lettera, perché non vi compare la parola “genocidio”.
Nedim Gürsel: Penso che la Turchia debba fare un lavoro sulla memoria. Per quanto riguarda la petizione che ho firmato, penso che sia una buona cosa, perché rimuove qualche tabù. Ecco, i tabù. Come la religione, anche la questione armena resta un tabù nella memoria collettiva dei turchi. Lo stesso per quanto rguarda la questione dei curdi. Appena una decina d’anni fa, non se ne poteva nemmeno parlare. Non si poteva nemmeno pronunciare la parola “curdo”. Ora il presidente della Repubblica, Abdullah Gül, dice che la questione curda è la più importante per il nostro Paese, dunque c‘è, in qualche modo, un’evoluzione innegabile.
euronews: Lei si sente esiliato?
Nedim Gürsel: È un esilio volontario. Non mi sento in esilio, vado spesso in Turchia. Mi nutro, il mio immaginario si nutre della Turchia. Della storia ottomana. Ho scritto romanzi storici, sono molto attaccato alla città di Istanbul. Ma ci fu un’epoca, subito dopo il colpo di Stato militare del 12 settembre 1980, ci fu un periodo di tre anni, durante i quali non mi fu permesso di rientrare nel mio Paese. Allora ero veramente in esilio. È per questo che ho scritto un libro che si intitola “L’ultimo tramway”, nel quale ho espresso i sentimenti dello scrittore turco in esilio: il suo vagare, il suo attaccamento alla patria, alla propria città, eccetera. Ora non mi sento in esilio, perché sono un po’ a cavallo tra Istanbul e Parigi, dico sempre che metaforicamente sono un po’ il ponte sul Bosforo, che non solo unisce due sponde, quella asiatica e quella europea, ma anche gli uomini e le culture. Credo che sia questo il ruolo dello scrittore, perché la letteratura è universale, avvicina gli esseri umani…
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