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04/04/2011

La rosa di pizzo nero

La rosa di pizzo nero
Quando lui vide ciò che vide
ella chinò il capo
si ricompose
e lo ignorò.
Siediti
ti prego
con questi due campi arati
con le corna di un bue, ho già garantito il raccolto.
Siediti
e divaricale
un po’ d’aria per il ramo piegato dalle sue pere.
La perla al naso
la piccola stella d'oro
brilla sotto lo sguardo diritto.
O tu, beduina del freddo,
ricoperta di lentiggini
divaricale
che arrivi un po’ d'aria al tartufo che spunta
sotto l'aratro.
Le mie piogge sono asciutte
le tue labbra bagnate.
Il freddo ci avvolge nel profondo
tremiamo perché le lentiggini che scagli contro di noi
piovono sulle ferite.
Il mio cuore trema per un freddo antico.
La notte.
Il treno tirato da vecchi buoi,
la donna diffonde il suo biancore sullo straniero.
Bianco è il latte
bianca questa notte dal cuore nero
bianco
astuto
prezioso
e superbo
con scarpe nere.
Bianco è il biondo sorvegliato dall'erba insonne
l'erba della dolce belva scatenata sul pendio.
Bianco
brillante
sottomesso
radioso
che provoca i singhiozzi
bianco di spuma
e la morte è sul cuscino dell’estasi.
Bianco
con neo
e marmo
bianco turchese
dalla bianca rotondità
bianco dei lembi della rosa
bianco di colline non risalite
bianco nascosto
avvolto in nastri
addormentato nella seta
bianco vincente
bianco spudorato
bianco del sonno e dei rimorsi
bianco delle nubi che piovono nei giacigli
il bianco potente
che ci ha privato di ogni eredità
bianco di servilismo e d'obbedienza
bianco dell'implorazione e delle avvisaglie di pioggia.
Oh bianco vincente
portatore di profumi e turbamenti.
Dorme nei suoi luoghi
il mio piccolo signore
non si sveglia coi flauti della mano.
Zolletta di zucchero
che si scioglie nell’arida terra.
Fanciullo
e adorno di pizzi e gioielli.
Pulito
liscio
e presente
nella sua rugiada luccica l'olivo.
Lavato con pioggia e fulmini,
ha questo odore:
d’erba tagliata al mattino.
La serpe s'attorciglia
il grande occhio osserva.
Timorosa, lascia le vesti per la testimonianza
sulla lancia che ha squarciato l'uccello di bosco.
Lascia il suo odore
lascia i suoi respiri
le dita impresse sulle curve della camicia
il sudore delle ginocchia
cancella l'inchiostro della notte
ed emana l’odore della febbre.
L’oro della vetta risplende.
Versato e fluito
vacilla con cura
conosce i suoi luoghi splendenti
le ombre in cui cade lo straniero
i petali si protendono dietro il velo
alle grida segue la piena.
L'odore rivela il suo contenuto
l'odore del tesoro conservato.
Il nero seppellisce la forza e la conserva
la forza che livella
l'elettricità che paralizza
il terrorismo sperimentato
il grande incanto dell'oro
cola sulla caviglia
propone guerra a oltranza.
Avvicinati alla mano che si offre per te
i vulcani del simile non bastano a valutare la gravità.
La sofferenza
è tangibile
lussuriosa
e volubile.
Abbracciare in piedi
con le membra tese
con un abbraccio rapace
abbracciare in piedi
in un treno che corre tra due fila di alberi.
Con un tocco, libero il prototipo dalla sua sagoma
e alla luce delle acque trasparenti
giungo
all’origine
del grido.
Libero, sciolto, va nel buio
si protegge nella sua valle trafiggendo chi guarda con un’oscura gemma
ebbro del vino
che stilla dalle sue parti.
La lama
taglia
il filo
del dolore.
I lombi e quel che conservano prima delle acque
l’emanazione
della discesa
della materia
dalla fessura dell’icona.
La rosa di pizzo nero
è in cima alla coscia
il bacio del re felice nella millesima notte
quando il serpente maculato scivola nell’umidità
per sorvegliare il basilico .
Le membra respirano e preservano la loro ricchezza
ti chini sulla castagna
la rotondità risplende nello specchio d’aria
e sale l’odore di corso d’acqua.
In cima
nera è la seta
sotto il cui nodo si azzuffano i principi
si sparge saliva
giungono al gioiello imploranti
strisciando sui gomiti.
Delirio dell’amore
ingurgito l’aria rimasta.
Fammelo vedere, fresco di sonno
ricolmo di promesse.
Sulla sua frangia c'é rugiada
e alle orecchie melograno.
Voglio
vederlo
uscire dal suo torpore
attirando a sé
la rugiada del mattino.
Fawzi Al Delmi