Il rumore del tempo che passa ci riporta l’eco di un gioco da bambini: “se fosse un fiore, se fosse un frutto, se fosse un animale...”. Proviamo a giocare con Napolipoesia: se fosse un elemento naturale cosa sarebbe? E’ difficile rinunciare all’acqua del mare di Napoli, al fuoco del Vesuvio, alla matericità della terra e dei corpi, ma alla fine diremmo aria. Perché nell’aria viaggiano gli uccelli e gli impulsi elettrici, gli aerei e gli aquiloni, la musica e la voce. E il vento. Una brezza impertinente che scompigli volumi polverosi, che porti nuova vita in stanze da troppo tempo chiuse, il cui accesso è interdetto da sacerdoti e vestali della Cultura. Portati da questo vento atterreranno, in una notte di primavera, i migratori della parola e l’incantesimo, almeno per tre giorni, potrà essere infranto: la poesia potrà tornare nella vita. Sussurrerà, o magari urlerà, ad ognuno di noi, che la “tenerezza è rivoluzionaria”, che l’amore è sovversivo, che la diversità è ricchezza, che il cambiamento è possibile, anzi indispensabile per impedire che l’offesa fatta al mondo si ritorca contro tutti noi.
Perché questa magia dell’incontro tra la realtà e l’utopia possa avverarsi, abbiamo ritenuto essenziale costruire anche questa seconda edizione di Napolipoesia a partire dall’elemento primario del corpo del poeta che legge il suo testo, ricongiungendosi in tal modo alla oralità della genesi della poesia. Quindi abbiamo ancora una volta ridotto al minimo indispensabile quello che si frappone tra questo evento e chi ascolta, consentendo (anche attraverso la videoproiezione delle traduzioni) il contatto diretto, quasi fisico, una sorta di abbraccio del pubblico che riconosce il suo poeta.
Ma allo stesso tempo abbiamo continuato a favorire la contaminazione tra linguaggi, insistendo sulla multimedialità non come gadget, ma come spazio di sperimentazione e di documentazione. Continuiamo a privilegiare l’interazione tra poeti e musicisti, che offre a nostro avviso una nuova dimensione non solo emotiva, ma soprattutto espressiva.
Siamo anche coscienti di aver operato delle scelte che potranno far storcere il naso agli accademici: non amiamo la poesia pura (ammesso che esista), preferiamo quei poeti che sanno farsi voce della vita quotidiana, che della storia o meglio delle storie siano parte viva, ci piacciono le voci che sanno dare corpo al sogno ed alle passioni.
In conclusione ci auguriamo che il Maschio Angioino in queste tre sere non sia il castello della purezza, ma la felice Torre di Babele in cui ognuno porta la propria identità uscendone più ricco di immaginazione e di desiderio, di umanità e di poesia.