LA MEMORIA DELLE FOIBE IN ISTRIA
intervista a Giacomo Scotti
Andrea Rossini
Un clima di nazionalismo insopportabile sta inquinando i rapporti tra Italiani, Croati e Sloveni. Giacomo Scotti, giornalista e scrittore di Fiume/Rijeka, racconta il clima di questi giorni e nella propria analisi contestualizza i fatti storici per i quali oggi in Italia si celebra il giorno del ricordo. Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista realizzata in collaborazione con Radio Onda d’Urto
Osservatorio sui Balcani: Cosa furono le foibe e quante furono le vittime delle violenze avvenute tra il ’43 e il ’47 a Trieste, in Istria e Dalmazia?
Giacomo Scotti: Oggi il termine di infoibati viene esteso a tutti quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri con i partigiani nel territorio dell’ex Venezia Giulia, quindi Istria e Quarnero. Qualche centinaio di loro morì di stenti, o di malattie nei campi di prigionia nei dintorni di Ljubljana, e anche questi vengono messi tra gli infoibati. I veri infoibati che sono stati fucilati e i cui corpi sono stati gettati nelle foibe sono verosimilmente alcune centinaia. La storiografia dell’estrema destra parla tuttavia di parecchie migliaia.
Osservatorio sui Balcani: In Italia si parla per l’appunto di una cifra che arriva in certi casi alle 10.000 persone e oltre. Questa cifra dunque secondo te non è corretta?
Giacomo Scotti: Non secondo me ma secondo gli storici triestini che potremmo definire di centro, come Galliano Fogar, e perfino secondo alcuni esuli istriani, come per esempio l’ex sindaco di Trieste, che hanno scritto libri sull’argomento. Ci sono state due fasi. Dopo la capitolazione italiana dell’8 settembre 1943 in Istria c’è stata una sollevazione, un’insurrezione di contadini che hanno assalito i Municipi, hanno assalito anche le case dei fascisti, di coloro che facevano parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale, degli agenti dell’OVRA (la polizia segreta fascista, ndr) ammazzandone parecchi nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe. L’insurrezione istriana durò dal settembre fino al 4 ottobre del ’43, quindi circa 30 giorni. Dopo sono arrivati i Tedeschi e hanno messo a ferro e fuoco l’Istria. Le vittime dell’insurrezione erano per la maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono andati di mezzo anche degli innocenti, ci sono state rese di conti fra gente che aveva dei conti da regolare. Tuttavia non si può parlare di odio antiitaliano, in un certo senso non si facevano distinzioni. Prima ancora che calassero le grosse divisioni tedesche in Istria, i comandi italiani di Pola, ad esempio, avevano consegnato ad un battaglione di Tedeschi di 350 uomini una guarnigione di 15.000 soldati. I Tedeschi avevano messo questa gente nei vagoni per deportarli in Germania. I partigiani slavi, partigiani per modo di dire, questi insorti che avevano preso i fucili gettati via dalle truppe italiane oppure i propri fucili da caccia, hanno atteso questi convogli diretti in Germania nella stazione di Pisino, nel cuore dell’Istria, assalendo due treni e liberando circa 3.000 marinai italiani, cadetti. Migliaia e migliaia di soldati italiani, non solamente di stanza in Istria ma anche provenienti dalla Croazia, disarmati, dopo l’8 settembre, che attraversavano l’Istria interna per andare a Trieste, non quella costiera, popolata in gran parte da popolazione italiana, ma l’Istria interna popolata quasi esclusivamente da popolazioni slave, sono stati accolti e rifocillati da queste popolazioni, che li hanno protetti per non essere presi dai Tedeschi che nel frattempo, ad ottobre, erano calati in gran numero da Gorizia e dal Brennero. Ci sono anche documenti, anche per esempio dell’episcopato di Trieste, che attestano questa solidarietà, quindi è falso sostenere che tutte le vittime erano italiane e che dall’altra parte c’erano solo i barbari slavi.
Osservatorio sui Balcani: Nel maggio ’45 i partigiani jugoslavi occuparono Trieste. Quei 40 giorni vengono considerati e raccontati come il culmine delle violenze antitaliane. Come va inquadrato quel periodo?
Giacomo Scotti: In Istria la caccia al fascista avvenne in quei trenta giorni del settembre, e poi non si è ripetuta più. A Trieste invece è avvenuta la seconda fase, quella appunto dei 45 giorni. Qui ci sono stati effettivamente episodi di pulizia etnica perché la cosiddetta guardia popolare - di cui facevano parte tra l’altro moltissimi Italiani, triestini, goriziani e friulani – e che a Trieste dava la caccia ai gerarchi, ai fascisti, ha colpito anche molti antifascisti la cui colpa era quella di battersi perché Trieste restasse italiana. Da una parte c’era l’idea di molti combattenti di costruire il socialismo fino all’Isonzo, però c’era anche molto nazionalismo da parte delle truppe di Tito arrivate a Trieste, che erano per la gran parte truppe della Quarta Armata, Dalmati. Erano circa 12.000 partigiani, anche se non si poteva più parlare di partigiani perché l’esercito cosiddetto partigiano era un esercito dei più potenti, che aveva ormai 800.000 uomini ben armati. Inoltre c’erano alcuni reparti del Nono Corpus sloveno, quindi uomini che avevano direttamente subito angherie dal fascismo. Non dimentichiamo che il fascismo oltre ad essersi annessi circa 600.000 Croati e Sloveni dopo la prima guerra mondiale, nella seconda guerra mondiale aveva occupato e si era annesso una parte della Slovenia, creando la provincia di Ljubljana, territori dove non c’era un solo Italiano. Anche una parte della Dalmazia era stata annessa dopo il 6 aprile ’41 all’Italia, era stata occupata e migliaia e migliaia di Dalmati Croati sono finiti nei ben 109 campi di concentramento in Italia. Quindi c’era rabbia, c’è stata anche vendetta, un revanscismo da parte di questi soldati e sono stati commessi crimini. Ho trovato un documento in questo senso, un telegramma di Tito inviato al comandante jugoslavo della piazzaforte di Trieste che viene rimproverato aspramente per non aver saputo controllare e moderare questo regime di occupazione, togliendogli addirittura il comando. Quanti siano stati i cosiddetti infoibati in questa fase non saprei dirlo non avendo studiato il problema direttamente, io mi sono occupato nei miei libri della storia istriana, però stando a storici triestini come Galliano Fogar che era un azionista, oppure Raoul Pupo, oggi professore universitario, si tratta anche là di alcune centinaia di persone finite nella foiba di Basovizza, che ora è diventata monumento nazionale italiano. Di fronte a queste vittime bisogna certamente inchinarsi. Però bisogna anche dire che quelli che parlano di 10.000 o 20.000 infoibati infangano le vere vittime perché con le menzogne finisce che la verità viene coperta e anche chi dice il vero non viene creduto.
Osservatorio sui Balcani: Dopo queste violenze ci fu l’esodo da Istria e Dalmazia. In questo caso si parla di 350.000 Italiani che sarebbero partiti dopo il ’45. Si tratta di cifre attendibili?
Giacomo Scotti: L’esodo complessivo dall’Istria e dalla Dalmazia e da tutte le terre che sono state date alla Jugoslavia in virtù del trattato di pace del ’47 e della sconfitta purtroppo dell’Italia, dopo l’avventura nella quale l’aveva precipitata il fascismo, è stato di 240.000 persone. Negli ultimi dieci anni alcuni storici seri hanno studiato questa questione, dopo il crollo del comunismo, tra di loro addirittura uno storico anticomunista, Zeljavic. Sono andati negli archivi, hanno preso i registri dello stato civile che ogni comune nelle cosiddette province italiane dell’Istria e della Dalmazia aveva, facendo ricerca. La Dalmazia in definitiva era Zara, una città di 20.000 abitanti sotto l’Italia, una piccola enclave. C’erano poi la provincia di Fiume, che aveva tre comuni, con circa 50.000 abitanti, e la provincia di Pola, che ne aveva 300 e poco più. Se veramente fossero 350.000 gli esiliati, sarebbero il 90% della popolazione che viveva in quelle zone, compresi i Croati, e invece secondo il censimento fatto dieci anni dopo la fine della guerra c’erano ancora 180.000 Croati presenti e oggi, a 60 anni dalla fine della guerra, ci sono ancora 35.000 Italiani. Questi storici hanno preso in mano i registri dello stato civile e i registri delle Questure, che sotto l’Italia erano precisissimi segnalando addirittura chi era ebreo, chi era ariano, chi non ariano, chi era antifascista ecc. Sono dati italiani, dello Stato italiano che in base al trattato di pace l’Italia ha dovuto restituire alla Jugoslavia come preda di guerra. Nell’esodo inoltre sono scappate moltissime persone che non erano italiane, 20.000 Croati soltanto dall’Istria, perché non volevano il comunismo, non volevano restare sotto Tito. Molti Istriani poi, ad esempio, che lavoravano come ferrovieri a Trieste e in Italia e non volevano perdere il posto di lavoro, se ne sono andati. Ci sono molti motivi diversi, ma alla fine sono partite 240.000 persone. Tra queste c’erano, veniamo alle cifre, 44.000 funzionari che erano venuti dall’Italia negli ultimi 18 anni di presenza italiana in Istria, maestri elementari, insegnanti, questurini, carabinieri, finanza ecc. che si iscrivevano nelle liste della cittadinanza ma non erano autoctoni istriani o dalmati o fiumani. Non li voglio certamente togliere, ma questi erano 44.000. C’erano poi 20.000 Croati. Quindi quando si parla di Italiani bisogna fare attenzione. Parliamo degli Istriani, di qualsiasi nazionalità, non erano soltanto Italiani i profughi.
Osservatorio sui Balcani: Tu hai seguito un percorso contrario a quello di cui stiamo parlando, recandoti a vivere in Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale. Negli anni recenti per l’impegno pacifista che hai intrapreso nel corso delle guerre in ex Jugoslavia degli anni ’90 e anche in ragione della tua nazionalità italiana hai trascorso anni difficili… Come ti appresti a vivere questa giornata che in Italia è stata ufficialmente definita del ricordo, il 10 febbraio?
Giacomo Scotti: Io e molti altri, quasi tutti gli Italiani qui, stiamo vivendo questi giorni con molto disagio, ci sentiamo veramente avviliti. Le destre, ovunque, i nazionalismi, ad esempio il nazionalismo dei dieci anni di Tudjman, durante il quale hanno cercato addirittura di chiuderci le scuole italiane, ci hanno perseguitato, ed ora questo nazionalismo da parte italiana, che è un’euforia insopportabile, con questi film che dicono menzogne, queste cifre che dicono menzogne, queste parate, ci avviliscono… Questi nostri vicini, amici con i quali viviamo qui nell’Istria, a Fiume, questi Croati, ci dicono: “Noi che abbiamo subìto un’aggressione durante la guerra, abbiamo subìto 360.000 morti dall’occupazione italiana, abbiamo subìto i campi di concentramento italiani… Invece di chiederci perdono ci attaccate ormai continuamente…” Come può fare un Italiano che vive qua a guardare in faccia questa gente? Con la quale ogni giorno vive? Dopo la morte di Tudjman di nuovo si era creato un clima di tolleranza, un clima di convivenza pacifica… Invece di dare agli esuli che hanno sofferto quella soddisfazione di essere ricordati al di sopra degli odi, al di sopra dei rancori, ora in Italia si sfrutta questa giornata per fare una campagna tremenda… Mi basta vedere la televisione, leggere i giornali – qui arriva il Piccolo di Trieste – per esempio il Piccolo ieri diceva che alla sala Tripcovich di Trieste è stato presentato questo film sulle foibe…
Osservatorio sui Balcani: La fiction di Rai Uno, Il cuore nel pozzo?
Giacomo Scotti: Sì. Tutta la platea era formata soltanto da aderenti al Fronte della Gioventù, della Fiamma Tricolore, e di Alleanza Nazionale. Voi sapete benissimo che a Trieste Alleanza Nazionale non è quella di Fini, si vantano di essere i picchiatori di Via Paduina, insomma sono rimasti sempre i soliti. Ebbene a un certo punto un soldato, un repubblichino prende la pistola e ammazza due persone, due partigiani, li ammazza dicendo che con questo vuole evitare che la sua fidanzata venga uccisa da loro. Ebbene è scoppiato un applauso, di fronte alla morte di questi due partigiani, di questi due slavi, è scoppiato un applauso irrefrenabile. Quando uno Sloveno, esponente della minoranza slovena di Trieste, ha cercato di entrare nella sala per protestare, lo hanno preso per il collo gridando alla polizia italiana: “Buttate fuori questa gentaglia.” Ecco questo è il clima che si è creato a Trieste e già da molti giorni… Il giorno della memoria viene celebrato il 10 febbraio, non ci siamo ancora ma è già un’ubriacatura di odio, di revanscismo, dove vogliamo arrivare con queste cose? La stampa di qui riporta queste cose. Oggi per esempio (5 febbraio, ndr) il Novi List di Fiume, che è il giornale a più grande tiratura in Croazia, titola: “Tutti gli italiani vittime, solo noi Croati e Sloveni siamo stati i carnefici.”
Osservatorio sui Balcani: Nelle settimane scorse, in Croazia, c’è stato un attentato dinamitardo al monumento di Tito, nella nativa Kumrovec. Allo stesso tempo sono stati eretti [poi rimossi] monumenti ad esponenti ustascia del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia di Ante Pavelic, Budak e Francetic. Nella Croazia del 2005 sono ancora forti i movimenti e le tendenze di estrema destra?
Giacomo Scotti: La risposta te la posso dare citando i risultati delle recentissime elezioni presidenziali. A destra della candidata dell’HDZ si è schierato uno che ai tempi di Tudjman era tra i massimi esponenti dell’HDZ, un erzegovese, Ivic Pasalic, presentandosi come capo del Blocco Croato, che ha raccolto tutte le sedici associazioni degli ex combattenti della cosiddetta Guerra Patriottica, gli ustascia, insomma la crema della destra in camicia nera. Ha ottenuto solo lo 0.5% dei voti. Questa è la destra ustascia neofascista oggi in Croazia. Però è una destra che ha ancora appoggi nei servizi segreti del governo, l’HDZ non ha fatto pulizia nei suoi ranghi, ancora la polizia segreta tudjmaniana tira le fila nel sottosuolo. Tutti sanno dove si trova Gotovina [il generale ricercato dal Tribunale dell’Aja, ndr], ma nessuno lo va a prendere, la Croazia è diventata ostaggio di un cosiddetto eroe che sta facendo soffrire le pene dell’inferno alla Croazia che non può entrare in Europa finchè lui è latitante. Ma tutti questi alla fine raccolgono solo lo 0,5% dei voti, quindi la Croazia non è fascista, i fascisti sono pochi, però sono terroristi, mettono le bombe sotto i monumenti, provocano, sono una piccola minoranza di terroristi.
tratto da http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3884/1/176/